sabato 30 agosto 2014

E' possibile usucapire per destinazione del padre di famiglia una servitù di stillicidio per stendere i panni?


Ai sensi dell’art. art. 1061, rubricato Servitù non apparenti,

Le servitù non apparenti non possono acquistarsi per usucapione o per destinazione del padre di famiglia.

Non apparenti sono le servitù quando non si hanno opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio. 


Il successivo, articolo 1062, rubricato Destinazione del padre di famiglia, specifica che:


La destinazione del padre di famiglia ha luogo quando consta, mediante qualunque genere di prova, che due fondi, attualmente divisi, sono stati posseduti dallo stesso proprietario, e che questi ha posto o lasciato le cose nello stato dal quale risulta la servitù.

Se i due fondi cessarono di appartenere allo stesso proprietario, senza alcuna disposizione relativa alla servitù, questa s'intende stabilita attivamente e passivamente a favore e sopra ciascuno dei fondi separati. 


Ci si è domandati che cosa, ai fini degli articoli appena citati, debba intendersi per servitù apparente. Secondo la Cassazione: “ quanto al requisito dell'apparenza della servitù richiesto ai fini dell'acquisto di essa per usucapione o per destinazione del padre di famiglia (art. 1061 cod. civ.), si è chiarito che esso "si configura come presenza di segni visibili di opere di natura permanente, obiettivamente destinate al suo esercizio e che rivelino in maniera non equivoca l'esistenza del peso gravante sul fondo servente, dovendo le opere naturali o artificiali rendere manifesto che non si tratta di attività compiuta in via precaria e senza l'animis utendi iure servitutis, ma di un onere preciso a carattere stabile, corrispondente in via di fatto al contenuto di una determinata servitù" (Cass. 21 luglio 2009 n. 16961). 

In questo contesto è sorta una controversia: la presenza di uno stenditoio appena sotto la soglia di una finestra, fin dalla costruzione del palazzo, può essere elemento sufficiente a far concludere per la sussistenza di una servitù di stillicidio al favore dell’unità immobiliare soprastante rispetto a quella sottostante? Qui di seguito la risposta al quesito contenuta in una recente sentenza della Corte di Cassazione. 


 È noto che, ai fini della sussistenza del requisito dell'apparenza, necessario per l'acquisto di una servitù per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, si richiede la presenza di segni visibili, cioè di opere di natura permanente, obiettivamente destinate all'esercizio della servitù medesima, che rivelino, per la loro struttura e funzione, in maniera inequivoca, l'esistenza del peso gravante sul fondo servente (tra le tante v. Cass. 12-3-2007 n. 5759; Cass. 28-9-2006 n. 21087; Cass. 26-11-2004 n. 22290).

Nel caso in esame, la Corte di Appello, muovendosi nel solco di tale principio, ha ritenuto, con motivazione esente da vizi logici, che la semplice presenza dei supporti metallici (o zanche) infissi dall'originario unico proprietario nel muro perimetrale, ai lati delle finestre sovrastanti, non lasciava chiaramente intendere che si volesse assoggettare l'immobile inferiore allo sgocciolamento del bucato bagnato; e che, pertanto, la S. , al momento dell'acquisto del suo appartamento, non aveva alcuna ragione di ritenere che l'immobile acquistato fosse gravato da servitù di stillicidio.

L'apprezzamento espresso al riguardo si sottrae al sindacato di questa Corte. L'accertamento dell'apparenza della servitù, al fine di stabilire se questa possa essere acquistata per usucapione o per destinazione del padre di famiglia, infatti, costituisce una “quaestio facti” rimessa alla valutazione del giudice del merito e, come tale, è incensurabile in sede di legittimità se sorretta, come nella specie, da una motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici (Cass. 17-2-2005 n. 3273; Cass. 25-1-2001 n. 1043 c.c.) ” (Cass. 16 agosto 2012, n. 14547) . 




www.condominioweb.com 

giovedì 28 agosto 2014

Pignoramento verso terzi - le novitá!!!


La legge di Stabilità 2013 ha apportato significative modifiche al procedimento del pignoramento presso terzi che interessano sin da subito gli operatori.

Le modifiche incidono in particolare sugli artt. 543, 547, 548 e 549 del codice di procedura civile e si possono così riassumere:
l'atto di pignoramento dovrà contenere l'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata del creditore procedente;
la dichiarazione del terzo di cui all'art. 547 c.p.c. - ove non si tratti di crediti per i quali è prevista la comparizione del terzo - potrà essere trasmessa anche a mezzo PEC e non più solo a mezzo raccomandata a.r.;
se il pignoramento riguarda crediti di cui all'art. 545, terzo e quarto comma [somme dovute a titolo di stipendio, salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro, o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento] quando il terzo non compare all'udienza stabilita, il credito pignorato, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, e il giudice provvede a norma degli artt. 552 e 553 c.p.c. [rispettivamente, assegnazione e vendita di cose dovute dal terzo e assegnazione e vendita di crediti].
Fuori dai casi precedenti (per i crediti di natura diversa da quelli sopra citati), quando in udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza fissa un'udienza successiva.
L'ordinanza è notificata la terzo pignorato almeno dieci giorni prima. Se il terzo non compare alla nuova udienza, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato agli effetti e con le conseguenze di cui sopra [ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, e il giudice provvede a norma degli artt. 552 e 553 c.p.c.].
Qualora ricorra una delle ipotesi di di cui ai punti subb. 3 e 4, il rimedio accordato al terzo per impugnare l'ordinanza [di assegnazione dei crediti, dice la norma dell'art. 548 modificato] è l'opposizione agli atti esecutivi (art. 617, primo comma, c.p.c.), ma solo se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione, o per caso fortuito o forza maggiore.
Se sorgono contestazioni sulla dichiarazione del terzo, il giudice dell'esecuzione li risolve, compiuti i necessari accertamenti, con ordinanza. Tale ultima ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell'esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, ed è impugnabile nelle forme e nei termini dell'art. 617 c.p.c.
Le nuove disposizioni si applicano ai procedimenti iniziati successivamente all'entrata in vigore della legge, quindi dopo il 1 gennaio 2013. Quanto alle questioni interpretative ed alle ricadute applicative, vi sono alcune osservazioni da fare. E' ipotizzabile che la mancata menzione della PEC nell'atto di pignoramento notificata venga trattata alla stregua degli altri riti che prevedono l'obbligatorietà dell'indicazione della PEC negli atti, con sanzioni che si traducono in un aumento del contributo unificato da versare (art. 125 c.p.c per il processo civile, D. Lgs. 546/1992 per il processo tributario e D. Lgs. 104/2010 per il processo amministrativo).
Le norme novellate operano una distinzione tra la mancata dichiarazione del terzo e le contestazioni del creditore procedente sulla dichiarazione del terzo effettivamente resa.
Mancata dichiarazione del terzo
Dobbiamo distinguere due differenti ipotesi:
- crediti di cui all'art. 545, terzo e quarto comma [somme dovute a titolo di stipendio, salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro, o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento]: la mancata comparizione del terzo debitor debitoris rende il credito non contestato nell'ambito del procedimento esecutivo e consentirà l'assegnazione o la vendita con provvedimento giudiziale.
- per crediti diversi da quelli sopra citati, per i quali il terzo può effettuare la dichiarazione di quantità tramite comunicazione scritta da inviare nei successivi dieci giorni dalla notifica (termine non perentorio), ove il creditore procedente dichiari all'udienza di non aver ricevuto la dichiarazione del terzo, il giudice fissa con ordinanza una successiva udienza, l'ordinanza viene notificata al terzo dieci giorni prima e, nel caso di mancata comparizione all'udienza (non sarà quindi più possibile rendere la dichiarazione scritta), il credito si avrà per non contestato nell'ambito del procedimento esecutivo e ciò consentirà l'assegnazione o la vendita con provvedimento giudiziale.
Contestazioni sulla dichiarazione del terzo 
Scompare il giudizio incidentale di accertamento dell'obbligo del terzo. Ove sorgano contestazioni sa parte del creditore procedente, il giudice le risolverà, compiuti i necessari accertamenti, con ordinanza. Detta ordinanza è impugnabile con il rimedio dell'opposizione ex art. 617 c.p.c.
Omessa incolpevole dichiarazione del terzo
In caso di mancata incolpevole dichiarazione, il terzo potrà sempre avvalersi del rimedio dell'opposizione ex art. 617, primo comma, c.p.c. per far valere il vizio di notificazione dell'atto, il caso fortuito o la forza maggiore.
Credito non contestato
Pone alcuni problemi la nozione di "non contestazione" del credito gravante sul terzo pignorato, ai sensi dell'art. 547 c.p.c. novellato. La norma aggancia il concetto della "non contestazione" all'individuazione del credito "nei termini indicati dal creditore".
Si osserva che nella prassi il creditore procedente difficilmente è in grado di indicare l'esatto ammontare delle somme dovute dal terzo debitor debitoris e sovente neppure riesce ad individuare il titolo del credito.
Vi è da chiedersi, allora, come si possa conciliare il meccanismo della "non contestazione" con la materiale assegnazione del credito dovuto dal terzo, se questo non è precisamente individuato.
Si è detto (Fabio Valerini) che, al fine di salvaguardare l'effettiva economia processuale del procedimento esecutivo che la novella si prefigge, l'espressione "nei termini indicati" vada letta nel senso che la non contestazione operi con riguardo al credito per il quale si procede esecutivamente.
Altra voce (Paolo Nesta) ha messo in luce le possibili difficoltà del giudice dell'esecuzione nell'assegnare il quinto (o altre frazioni, nelle ipotesi di tali limiti di pignorabilità) in assenza di una specifica quantificazione del credito.
Nella redazione dell'atto di pignoramento presso terzi, onde evitare eccezioni, è oltremodo consigliabile l'aggiornamento degli avvisi da dare al terzo, segnalando le conseguenze di legge della mancata o contestazione dichiarazione.
Attendiamo di leggere i primi provvedimenti di assegnazione e vendita dei Tribunali territoriali, successivi alle modifiche della Legge di Stabilità.
Riferimenti Normativi: Legge di Stabilità 2013 (L. 24.12. 2012 n. 228, G.U. 29.12.2012 - ART. 1, comma 20) - Artt. 543 e ss. c.p.c. - Artt. 617 e ss. c.p.c.


Fonte: Il Pignoramento presso terzi: novità dal 2013 

(www.StudioCataldi.it) 

martedì 26 agosto 2014

Via…. Si riparte!!!!!

Si riparte!!!! Le ferie sono terminate e gli impegni ci chiamano. E noi rispondiamo!!!!
Il blog di Tregeoformazione riprende la sua attività, così come il nostro profilo Twitter.
Le vacanze ci sono servite per riordinare le idee e programmare i prossimi mesi di impegni.
Intanto siamo in attesa del Decreto di riorganizzazione della Giustizia che dovrebbe vedere la luce venerdì 29 Agosto nel corso del Consiglio dei Ministri. Le anticipazioni apparse sulla stampa, grazie anche ad alcune interviste del Ministro Orlando, preannunciano alcune novità che seguiremo attentamente, cerando di fornire a chi ci segue una nostra analisi sulle novità relative al processo civile che verranno introdotte; i rumors sull'incentivazione delle risoluzioni alternative ci incuriosiscono, facendoci sperare in un vero salto culturale di queste pratiche non appannaggio di alcune categorie professionali e scevre da interessi di bottega.

martedì 12 agosto 2014

Anche Tregeoformazione si riposa per qualche giorno……..


Si, anche noi, ogni tanto, abbiamo bisogno di riposo…… dopo un periodo intenso ed appassionante grazie ai corsi svolti, agli scambi di impressioni con chi ci segue, ai contatti con chi ha voluto condividere con noi dubbi e nuovi stimoli, abbiamo deciso di staccare qualche giorno…. saranno giornate che dedicheremo al relax ma anche alla ricerca di nuove idee in modo da ritrovarsi al rientro dalle ferie con la medesima voglia di migliorare e di trasmettere le nostre conoscenze ed esperienze….
Perció rilassatevi, staccate e recuperate energie, ne avrete bisogno, quindi buone vacanze!!!.. l'autunno e, sopratutto, il nuovo anno servirà per migliorarci… se vorrete farlo con noi, doppio augurio di buone vacanze!!!!!
Simone, Claudia e Luca

mercoledì 6 agosto 2014

Botola di accesso al tetto comune situata in un appartamento, servitù di passaggio?

Il condominio negli edifici è soggetto alle norme regolanti l'esistenza e l'esercizio delle servitù prediali?
La risposta è positiva.
Il motivo è il seguente: la servitù, a dirlo è l'art. 1027 c.c., è il peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenete a diverso proprietario.
Tra i requisiti fondamentali per poter parlare di servitù, spicca il così detto principio "nemini res sua servit", che tradotto sta a significare che nessuno può avere diritto di servitù su una cosa propria: d'altra parte se la cosa assoggettata ad un particolare uso è di proprietà di chi tale uso fa, perché dovrebbe esservi servitù?
Nel condominio le cose sono leggermente diverse. Le parti comuni, infatti, sono di proprietà di tutti e ciò cambia "la carte in tavola" poiché, come afferma la Cassazione, "essendo configurabile in uno stesso edificio la proprietà comune come entità distinta da quella individuale sotto il profilo sia materiale, essendo identificabili le cose condominiali, sia della titolarità del diritto, dato che, mentre colui che ha la proprietà esclusiva di singole cose è un soggetto individuale, titolare delle cose dl proprietà comune è un soggetto plurimo e diverso. E, come chiaramente si precisò nella sentenza n. 2003 del 1966, "se e vero che il condominio edilizio non e persona giuridica, ma è ente di mera gestione, è pur vero che trattasi di ente il quale mutua dalla persona giuridica alcuni strumenti (assemblea amministratori) ed agisce come proprietario delle cose comuni sia nei rapporti esterni sia in quelli interni del gruppo, così atteggiandosi come soggetto diverso da quello individuale" (Cass. 17 luglio 1998, n. 6994).
Insomma le parti comuni, se si richiede una utilizzazione differente da quelle lecite ex art. 1102 c.c., possono essere soggette a servitù in vantaggio di una singola unità immobiliare e viceversa.
Oltre a ciò che è attinente ai profili inerenti la titolarità dei fondi, è fondamentale la ricorrenza dell'utilità. Sempre la giurisprudenza ci ha specificato che nella determinazione di tale concetto "non si deve far capo ad elementi soggettivi ed estrinseci relativi all'attività personale svolta dal proprietario del fondo dominante, ma bisogna avere riguardo unicamente al fondamento obbiettivo e reale dell'ultima stessa, sia dal lato attivo che da quello passivo: essa deve costituire, cioè, un vantaggio diretto del fondo dominante, come mezzo per la migliore utilizzazione di questo" (Cass. 22 ottobre 1997 n. 10370).
In questo contesto, ad esempio, è stato affermato che il diritto di parcheggio nelle parti comuni o comunque in parti di proprietà esclusiva non rappresenta mai una servitù per mancanza del requisito dell'utilità nei termini sopra esposti.Un caso affrontato e risolto dalla Cassazione con la sentenza n. 8730 del 15 aprile 2014 riguarda proprio l'assoggettamento a servitù di una parte dell'edificio di proprietà esclusiva a vantaggio della collettività condominiale.
Nella fattispecie esaminata e risolta dalla Corte regolatrice, un condominio chiedeva venisse accertata l'esistenza di una servitù di passaggio costituitasi per destinazione del padre di famiglia a favore della compagine riguardante la possibilità di utilizzare una botola che rappresentava l'unico passaggio utile per accedere al tetto comune.
L'esistenza della servitù fu accertata in primo grado e la sentenza di appello confermo quanto statuito in quella pronuncia. La Cassazione ha valutato legittima quella statuizione. Gli ermellini, esaminando il ricorso, infatti, sono giunti alla conclusione che non potesse ritenersi errato, sulla base delle valutazioni effettuate nell'ambito dei giudizi di merito, considerare esistente una servitù per destinazione del padre di famiglia (lo stato dei luoghi, ossia il passaggio, era tale fin dal frazionamento dell'edificio, ergo fin dalla costituzione del condominio) e non era possibile individuare, nemmeno astrattamente un altro passaggio per accedere al tetto comune. Di conseguenza la botola presente nella parte di edificio di proprietà esclusiva doveva essere considerate elemento materiale idoneo a considerare esistente una servitù di passaggio per l'accesso al tetto.



www.condominioweb.com 

martedì 5 agosto 2014

La forma è sostanza. La delibera si impugna con atto di citazione e non più con ricorso.


Il vecchio articolo 1137 cod. civ. prevedeva che contro le deliberazione contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condominio dissenziente poteva fare ricorso all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospendeva l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione era ordinata dall'autorità stessa.
La norma, durante la sua lunga vigenza,ha destato notevoli dubbi interpretativi, circa l'esatta forma che doveva rivestire l'atto giudiziario con il quale esercitare l'azione di impugnazione della delibera assembleare.
Si è così reso necessario un intervento dirimente da parte della Suprema Corte di Cassazione, sezioni unite,nella sua funzione nomofilattica. Al fine di garantire l'osservanza della legge, la sua interpretazione uniforme e l'unità del diritto,il Giudice di legittimità ha stabilito –con la sentenza 14.04.2011 n° 8491 - che: “L'art. 1137 c.c. non disciplina la forma delle impugnazioni delle deliberazioni condominiali, che vanno pertanto proposte con citazione, in applicazione della regola dettata dall'art. 163 c.p.c.”.
A quanto pare, l'interpretazione fornita dal Giudice di Legittimità ha poi convinto anche il Legislatore.
Nel novellato articolo (dalla legge 220/2013) non si fa più riferimento al termine“ricorso”; inoltre,dal punto di vista funzionale, l'azione di impugnativa della delibera viene scorporata da quella cautelare,volta a chiedere l'inibizione dell'efficacia esecutiva (sospensione, vedi ultimo comma art. 1137 cod. civ.).
Il caso. Gli effetti della nuova norma sono stati dirompenti sul piano pratico. E' così successo che un condòmino di Cremona abbia impugnato con “ricorso”(non con un atto di citazione) una delibera assembleare, al fine di far valere un vizio che ne avrebbe importato l'annullabilità (sulla differenza tra nullità e annullabilità si confronti la S entenza 4806/05 delle Sezioni Unite civili, Corte di Cassazione).
La differenza tra i due tipi di atti introduttivi si coglie fondamentalmente nella “vocatioin ius”. Mentre il ricorso (art. 125 cpc) si deposita all'autorità giudiziaria, la quale, presane visione, emette in calce un decreto con la fissazione dell'udienza ed onera il ricorrente a notificarlo all'altra parte entro un termine preciso (a pena d'inefficacia). La citazione va invece notificata direttamente alla controparte, con l'indicazione in essa della data dell'udienza a cui questi sarà tenuta a comparire, ovvero con la precisazione del tempo occorrente per costituirsi preliminarmente in giudizio (art. 163 cpc).
La decisione. Sulla scorta dei superiori insegnamenti, iTribunale di Cremona con Sentenza 23.01.2014, n. 37 ha dichiarato inammissibile l'azione di gravame presentata dal condòmino. In punto, risulta utile riportare l'iter argomentativo addotto; ed invero: “[…] considerato che, dunque, senza dubbi ormai si può affermare (come ha già fatto il tribunale di Milano in data 21.10.2013) dell'art. 163 c.p.c. che l'impugnazione delle delibere assembleari v a proposta mediante atto di citazione e non ricorso …ritenuto che nemmeno può operare, in questo caso, il principio di conservazione degli atti processuali (poiché l'atto non può, comunque, raggiungere lo scopo cui è destinato, ex art. 156 ultimo comma c.p.c., pena la completa abdicazione del generalissimo principio di congruità delle forme allo scopo o della strumentalità delle forme che costituisce la stessa ratio della disciplina che il codice di rito dedica – per usare le stesse parole usate dal legislatore nell'intitolare il Capo I del Titolo dedicato agli atti processuali – alle “forme degli atti e dei provvedimenti”), né può operare il meccanismo sanate di cui all'art. 164, comma 2, c.p.c. (poiché esso è regolato espressamente nei soli casi di introduzione del giudizio con citazione e poiché manca totalmente l'indicazione di una udienza di comparizione, e non solo l'avvertimento precisto dal n. 7) dell'art. 163” di cui al comma dell'articolo in questione)”.
In conclusione, si può ben chiosare con la massima: la “forma è sostanza”! Occorre, pertanto, prestare massima attenzione all'atto prescelto per impugnare una delibera assembleare, atteso che, come visto sopra, la giurisprudenza sembra orami granitica nel ritenere inammissibile (con pronuncia “da emettersi de plano”) ogni azione esperita a mezzo di ricorso, in luogo dell'atto di citazione. Di contro, si potrà utilizzare la forma del ricorso soltanto per le azioni cautelari tese ad ottenere la sospensione dell'efficacia della delibera assembleare.

Fonte http://www.condominioweb.com/attenzione-allatto-prescelto-per-impugnare-una-delibera.11260#ixzz38sqWUIYW
www.condominioweb.com 

venerdì 1 agosto 2014

Non si può usucapire la servitù di parcheggio (?)


L’art. 1027 c.c. recita: 

La servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario. 

In sostanza per potersi parlare di servitù è necessaria la presenza di due fondi, non per forza confinanti, appartenenti a diversi proprietari, e di un’utilità che dev’essere strettamente connessa la fondo. Sul punto è utile leggere che cosa dice la Corte di Cassazione. Secondo gli ermellini “ il concetto di utilitas, intesa come elemento costitutivo di una servitù prediale, non può avere riferimento ad elementi soggettivi ed estrinseci relativi all'attività personale svolta dal proprietario del fondo dominante, ma va correttamente ricondotto al solo fondamento obiettivo e "reale" dell'utilità stessa, sia dal lato attivo che da quello passivo, dovendo essa costituire un vantaggio diretto del fondo dominante come mezzo per la migliore utilizzazione di questo. (Nella specie, la S.C., enunciando il principio di diritto di cui in massima, ha confermato la sentenza del giudice di merito con la quale era stata esclusa la natura di servitù in relazione ad un passaggio sul fondo che si pretendeva servente esercitato da parte del proprietario del fondo finitimo al fine esclusivo di attingere acqua presso una fonte sita in altra località, di proprietà di terzi, e priva di qualsivoglia capacità irrigua o di destinazione all'approvvigionamento idrico del fondo predetto) (Cass. 22 ottobre 1997 n. 10370). 

Spesso accade che, per lunghi periodi e per mera tolleranza, il proprietario di un fondo lasci parcheggiare il proprio vicino sulla sua proprietà. Una volta sorta l’esigenza, da parte del primo, di modificare le abitudini, chi ha usufruito del diritto di parcheggio vanta l’acquisto per usucapione di una servitù di parcheggio. Niente di più sbagliato! 

E’ costante la Cassazione nell’affermare che " il parcheggio di autovetture su di un'area può costituire legittima manifestazione di un possesso a titolo di proprietà del suolo, ma non anche estrinsecazione di un potere di fatto riconducibile al contenuto di un diritto di servitù, diritto caratterizzato dalla cosiddetta realitas, intesa come inerenza al fondo dominante dell'utilità così come al fondo servente del peso, mentre la mera commoditas di parcheggiare l'auto per specifiche persone che accedano al fondo (anche numericamente limitate) non può in alcun modo integrare gli estremi della utilità inerente al fondo stesso, risolvendosi, viceversa, in un vantaggio affatto personale dei proprietari" (così, ex multis, Cass. n 20409/09). In sostanza chi parcheggia per lungo tempo su fondo altrui può sicuramente provare ad ottenere il riconoscimento del diritto di proprietà su quell’area per intervenuta usucapione ma certamente non di quello di servitù. 

Quest’ultimo, infatti, è diritto strettamente connesso al fondo mentre il diritto di parcheggio che si vanta acquisito riguarda soprattutto e sostanzialmente la maggiore comodità personale di chi ne vanta l’acquisizione. 



Fonte http://www.condominioweb.com/non-puo-usucapire-la-servitu-di-parcheggio-in-quanto-al-diritto.1068#ixzz38YytHh8E
www.condominioweb.com