giovedì 25 giugno 2015

Cassazione: nulla la CTU se il consulente ha acquisito documenti non prodotti dalle parti Fonte: www.StudioCataldi.it

La Cassazione mette un freno ai consulenti tecnici d'ufficio che, con troppa disinvoltura, acquisiscono dati e documenti che non fanno parte del processo non essendo stati prodotti nei termini dalle parti

I Consulenti del giudice, spiega la Corte (sentenza n. 12921 del 23 giugno 2015 della terza sezione civile), non si possono sostituire alle parti perché ciò andrebbe a violare i termini previsti per il deposito di documenti.

Così la terza sezione civile della Corte di Cassazione ha respinto un ricorso in cui si lamentava che la corte d'appello aveva ingiustamente dichiarato nulla la consulenza tecnica d'ufficio che aveva acquisito una serie di documenti comprovanti i costi di alcuni lavori perduti e i relativi quantitativi.

Secondo la Cassazione però la corte d'appello ha deciso correttamente di non avvalersi delle risultanze della consulenza tecnica perché i documenti acquisiti dal CTU erano stati a lui trasmessi da una delle parti in violazione dei termini previsti per la produzione documentale.  È corretta quindi la pronuncia di nullità della consulenza tecnica d'ufficio e la inutilizzabilità della stessa e di tutto il materiale acquisito.

Come si legge nel testo della sentenza, il ricorrente aveva fatto riferimento a un principio affermato dalla stessa Cassazione secondo cui "al consulente tecnico è consentito acquisire aliunde i dati necessari per svolgere laccertamento affidatogli (Cass. n. 1901 del . 2010 ed altre)". 

Ma, come spiega la corte,  "è errata l'interpretazione che la ricorrente dà al suddetto principio di diritto in ordine alla possibilità del consulente di acquisire aliunde la documentazione necessaria per elaborare la consulenza. 
La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che in tema di consulenza tecnica d'ufficio, rientri nel potere del consulente tecnico d'ufficio attingere "aliunde" notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, e che dette indagini possono concorrere alla formazione del convincimento del giudicepurchè ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il controllo, a tutela del principio del contraddittorio (Cass. n. 13686 del 2001, Cass. n. 3105 del 2004; Cass. n. 13428 del 2008; Cass. n. 1901 del 2010). E tuttavia occorre chiarire entro che limiti è legittimo lesercizio di tale facoltà da parte del consulente e quali siano i dati, le notizie, i documenti che egli può acquisire aliunde. Il criterio guida è che si tratta di un potere funzionale all'esplemento dell'incarico affidato, che non comporta alcun potere di supplenza, da parte del consulente, rispetto al mancato espletamento da parte dei contendenti al rispettivo onere probatorio".

In buona sostanza il potere di attingere ad dati estranei al processo viene legittimamente esercitato "in tutti i casi in cui al consulente sia necessario, per portare a termine l'indagine richiesta, acquisire documenti in genere pubblici non prodotti dalle parti e che tuttavia siano necessari per portare a termine l'indagine e per verificare sul piano tecnico se le affermazioni delle parti siano o meno corrette (può trattarsi, esemplificativamente, di delibere comunali dalle quali estrarre il coefficiente per determinare il canone di locazione, documentazione relativa ai piani regolatori, dati riscontrabili relativi al valore dei terreni espropriati per verificare che lindennità di esproprio sia stata correttamente quantificata)". 

Il consulente, nel rispetto del contraddittorio, potrà anche acquisire documenti non prodotti che risultino indispensabili all'accertamento di una situazione di comune interesse come ad esempio gli atti di frazionamento che servono ad individuare il confine tra due fondi.

Il consulente tecnico d'ufficio infine, conclude la corte, può acquisire "dati tecnici di riscontro alle affermazioni e produzioni documentali delle parti, e pur sempre deve indicare loro la fonte di acquisizione di questi dati per consentire loro di verificarne l'esatto e pertinente prelievo". 

In buona sostanza l'acquisizione da parte del CTU di dati e documenti che non si trovano nei fascicoli di parte può avere l'unica funzione di riscontro e di verifica rispetto alle allegazioni delle parti.



(www.StudioCataldi.it) 

venerdì 12 giugno 2015

La donazione non perfezionata non trasmette il possesso utile per l'usucapione Fonte: (www.StudioCataldi.it)

Articolo dell'Avv. Gabriele Mercanti su www.studiocataldi.it
La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 7821 della Seconda Sezione Civile depositata in data 16 aprile 2015 delinea le caratteristiche che deve rivestire il godimento di un bene al fine dell’usucapione.
La vicenda ha inizio il 28 luglio 2000 allorquando un Ente Religioso veniva convenuto in giudizio per ottenere il rilascio di un fabbricato adibito a sacrestia.
Detto Ente si costituiva in giudizio eccependo in via principale il difetto di legittimazione passiva (in quanto la donazione costituente il titolo di acquisto a suo favore non si sarebbe regolarmente perfezionata) ed in via riconvenzionale di aver comunque usucapito l’immobile (in quanto – nonostante il mancato perfezionamento della donazione – l’Ente ne avrebbe avuto la materiale disponibilità per oltre un ventennio).
In primo grado (1) veniva accolta la domanda riconvenzionale dell’Ente con conseguente accertamento dell’avvenuto trasferimento di proprietà a suo favore, mentre in appello (2) l’esito fu ribaltato per asserita inidoneità del potere di fatto sulla cosa ai fini dell’usucapione.
I Giudici del Palazzaccio in prima battuta sono stati chiamati a verificare le caratteristiche del presunto titolo di acquisto in capo all’Ente, titolo costituito da un atto di donazione datato 8 maggio 1961 cui non era seguita la notifica dell’accettazione da parte dell’Ente medesimo così come prevista dall’art. 782 secondo comma c.c..e la conclusione raggiunta dal S.C. è incontestabile: “La notificazione dell'accettazione della donazione - stabilita,dall'art. 782 c.c., comma 2, per i casi in cui proposta ed accettazione siano contenuti in atti distinti - costituisce, pertanto, requisito indispensabile per la perfezione del relativo contratto che, quindi, prima di essa non può considerarsi ancora concluso”.
Ma dalla premessa di cui sopra ne è derivato, secondo gli Ermellini, che il godimento da parte dell’Ente fosse ricostruibile non come possesso ma come mera detenzione e, come tale, inidonea all’acquisto del cespite per maturata usucapione.
Infatti ben diversa è la situazione di godimento di un cespite conseguente ad una donazione nulla rispetto ad una donazione inesistente in quanto non perfezionata: nel primo caso (3) si è in presenza di un titolo idoneo al trasferimento del possesso; nel secondo (4) si può parlare esclusivamente, invece, di animus detinendi.
Infine, i Giudici del S.C. rilevavano che non si era verificata a favore dell’Ente un’interversione del possesso idonea, appunto, a “trasformare” la detenzione in possesso, in quanto “l'interversione del possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in una manifestazione esteriore, dalla quale sia consentito desumere che il detentore abbia cessato di esercitare il potere di fatto sulla cosa in nome altrui e abbia iniziato ad esercitarlo esclusivamente in nome proprio … Tale manifestazione deve essere rivolta specificamente contro il possessore, in maniera che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento, e quindi tradursi in atti ai quali possa riconoscersi il carattere di una concreta opposizione all'esercizio del possesso da parte sua”. (5)
E’ stato così confermato il verdetto di secondo grado e l’Ente è stato condannato a restituire il bene.


(1) Cfr. Tribunale di Modica del 30.06.2004
(2) Cfr. Corte d’Appello di Catania n. 777/2009.
(3) Cfr. conforme Cass. n. 9.090/2007.
(4) Cfr. conforme Cass. n. 5.550/1996.
(5) Cfr. conforme Cass. n. 6.237/2010


(www.StudioCataldi.it) 

mercoledì 10 giugno 2015

Se il condominio apre un nuovo accesso con scale, devono pagare tutti Fonte: (www.StudioCataldi.it)

L’apertura di un nuovo accesso in un fabbricato con più scale deve intendersi in comune tra tutti i condomini e dunque le spese vanno pagate anche da coloro che non sono “serviti” dalla nuova scala. Lo ha stabilito la Cassazione con la sentenza n. 10483 depositata ieri, rigettando il ricorso di alcuni condomini contro la delibera dell’assemblea che autorizzava l’apertura di un nuovo ingresso su un’altra strada costeggiante l’edificio.
La seconda sezione ha smentito, infatti, la tesi dei ricorrenti, i quali sostenevano che di tale accesso avrebbero beneficiato soltanto i condomini della scala A e non già quelli della scala B che quindi non potevano essere chiamati a ripartire le spese, visto e considerato che in base alle regole del c.d. “condominio parziale”, la proprietà delle scale era da intendersi separata. 
La Cassazione ha ritenuto invece di confermare la decisione della Corte d’Appello ricordando, innanzitutto, che scale e androni, salvo prova contraria risultante dal titolo, sono considerati ex art. 1117 c.c., proprietà comune tra tutti i condomini, anche se servono gruppi di abitazioni distinte.
Anche se è vero, hanno spiegato da piazza Cavour che se un bene è a servizio esclusivo di una parte del condominio (appunto, nel caso del c.d. condominio parziale), ciò implica conseguenze sotto il profilo della gestione e dell’imputazione delle spese, la mera presenza di più scale e più androni in un edificio non basta “a far ritenere la piena autonomia e indipendenza strutturale e funzionale delle relative porzioni immobiliari”. Tenendo conto, peraltro, ha proseguito la S.C., che la funzione dell’androne non è solo quella di dare accesso alle scale ma anche ai muri perimetrali (comuni), e che le scale permettono l’accesso anche al tetto e al lastrico solare comuni all’edificio.
Ergo, senza la prova della proprietà o dell’uso esclusivo della scala da parte di un solo gruppo di abitanti dell’edificio condominiale, l’apertura del nuovo accesso con relative scale va considerata proprietà in comune tra tutti i condomini e le spese vanno ripartite proporzionalmente.
Da bocciare, infine, per la S.C., anche la tesi della “spesa voluttuaria”, sostenuta dai ricorrenti in quanto l’edificio era già comodamente accessibile da altra strada e ciò legittimerebbe ex art. 1121 c.c. i condomini dissenzienti, che non intendono trarne vantaggio, ad essere esonerati da qualsiasi contributo alle spese. “L’apertura di un nuovo accesso da un strada più larga e pianeggiante – ha concluso difatti la Cassazione escludendo il carattere voluttuario dell’innovazione - costituisce un oggettivo miglioramento rispetto al precedente unico accesso da un strada di larghezza esigua ed in salita, facilitando anche le operazioni di carico e scarico di oggetti ingombranti e la sosta di vetture per il trasporto di persone e di cose”. 
(www.StudioCataldi.it) 

lunedì 8 giugno 2015

Le differenze tra un consorzio immobiliare e il condominio (supercondominio) Fonte: http://www.fanpage.it

Uno degli aspetti più interessanti del diritto civile è quello relativo all'identificazione della natura giuridica di un determinato accordo o contratto stipulato tra le parti.

Per comprendere meglio la situazione si può immaginare
– a) un insieme di edifici eventualmente con bene e servizi comuni, la cui gestione di questi beni e servizi è demandata (per una clausola contrattuale) ad una figura giuridica denominata "consorzio", la situazione potrebbe anche essere più complicata se si immagina
– b) una serie di condomini autonomi in tutto che demandano al "consorzio" la gestione di alcune spese o servizi (al fine di ridurre le spese di "acquisto" o di gestione dei servizi).
– c) nulla esclude che possono sussistere delle situazioni ancora più ambigue in cui prima si costituisce il consorzio e poi si creano dei beni e servizi comuni tra diversi edifici.
In queste situazione appare subito evidente che occorre individuare l'esatta natura giuridica del "consorzio" per comprendere, quanto meno la normativa applicabile (consorzio in materia di società ?) ed i poteri di dei singoli consorziati (possono recedere dal consorzio ? in caso di vendita dell'immobile che paga gli arretrati ?) e gli obblighi degli amministratori (sono quelli della riforma del condominio o sono altri ?).
In queste situazioni è subito evidente che l'ente denominato "consorzio" non è il consorzio tra imprenditori previsto dagli articoli 2602 c.c. e seguenti, in quanto questo tipo di consorzi presuppone la necessaria qualifica di imprenditore dei partecipanti (anche se il fine, migliorare alcune fasi o ridurre i costi di produzione potrebbe essere presente nell'ipotesi di consorzio sub "b" fatta in precedenza), inoltre, tali consorzi non sono, neppure, i consorzi obbligatori previsti dal codice civile, mancando completamente la finalità pubblica o l'ente pubblico. Resta da comprendere cosa possa essere il consorzio descritto nelle ipotesi sub "a" e sub "b".
Partendo dall'ipotesi più semplice (sub a) quella di un insieme di edifici eventualmente con bene e servizi comuni, la cui gestione di questi beni e servizi è demandata al "consorzio", risulta evidente che il "consorzio" è molti vicino a quello che oggi si potrebbe denominare "supercondominio", codificato, dopo la riforma con l'art. 1117 bis c.c., quanto detto trova alcuni elementi a sostegno: 1) di solito questi consorzi sono stati costituiti in tempi remoti, negli anni intorno al 1970, quando la figura giuridica del supercondominio non era stata ancora creata e si cercava di sopperire ad una evidente lacuna legislativa perseguendo varie strade; 2) altro principio che permette di identificare la natura giuridica di questi consorzi con il supercondominio è giuridico e riguarda il principio secondo il quale la denominazione data dalle parti ad un atto non può modificare la natura giuridica dello stesso, in termini più semplici, se le parti chiamano un contratto donazione, ma in realtà è una vendita, la semplice denominazione dell'atto (donazione) non trasforma una vendita in donazione (e viceversa).
In queste situazioni (sub "a"), in cui il supercondominio è chiamato consorzio, (ma di fatto è un supercondominio), l'unico problema è quello relativo all'applicabilità delle norme del condominio al consorzio (di fatto un supercondominio), e sul punto è intervenuto l'art. 1117 bis c.c. che ammette la piena applicabilità della disciplina del condominio e, di conseguenza, sono nulle tutte quelle clausole dell'eventuale statuto del consorzio (alias regolamento del supercondominio) in contrasto con la normativa espressamente individuata come inderogabile dall'art. 1138 c.c. e dell'art. 72 disp. att. c.c.
Questo, ovviamente, non esclude che sia stato regolato un vero e proprio consorzio (come nell'ipotesi sub) e non un supercondominio (anche se chiamato consorzio), con tutte le conseguenze derivanti dalla mancata attivazione del supercondominio.
Diversa e per certi versi più complessa è la situazione (sub b) quando si è in presenza di una serie di condomini autonomi in tutto e per tutto, i quali demandano al "consorzio" la gestione di alcune spese o servizi (al fine di ridurre le spese di "acquisto" o di gestione dei servizi). Risulta evidente che in situazioni simili è difficile identificare (in concreto) un supercondominio, resta, però, il problema dell'identificazione della natura giuridica dell'ente al fine di identificare le norme applicabili e i poteri e gli obblighi dei singoli "consorziati". Infatti, tutti questi problemi si pongono nel momento in cui la situazione degenera e i singoli consorziati diventano oggetto di pretese economiche senza alcun risconto o controllo oppure quando le spese diventano eccessive o sorgono problemi tributari non ipotizzabili in base alla normativa tributaria vigente nel 1970.
In queste situazioni, la natura giuridica del consorzio è quella di una associazione (non riconosciuta), la cui normativa di riferimento è stabilita dagli associati al momento della costituzione dell'associazione non riconosciuta e può essere la più varia, infatti, “le disposizioni in materia di condominio possono legittimamente ritenersi applicabili al consorzio costituito tra proprietari di immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale, pur appartenendo indiscutibilmente il consorzio alla categoria delle associazioni, non esistendo schemi obbligati per la costituzione di tali enti, ed assumendo, per l’effetto, rilievo decisivo la volontà manifestata dagli stessi consorziati con la regolamentazione contenuta nelle norme statutarie".
In altri termini, è lo statuto dell'associazione (consorzio) che individua le regole di funzionamento dell'ente ed in assenza di norme specifiche si applicano le norme sulle associazioni non riconosciute e non quelle in materia di condominio "le disposizioni in materia di condominio non sono estensibili al consorzio costituito tra proprietari d'immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale, atteso che i due istituti giuridici, nonostante le numerose analogie, presentano anche caratteristiche diverse che non ne permettono una completa parificazione concettuale: il condominio di edifici è una forma di proprietà plurima, derivante dalla struttura stessa del fabbricato e regolata interamente da norme che rimangono nel campo dei diritti reali, con la conseguenza che il carattere di immobile condominiale è una qualitas fundi, che inerisce al bene e lo segue, con i relativi oneri, presso qualsiasi acquirente; il consorzio, che ha un livello di organizzazione più elevato, appartiene, invece, alla categoria delle associazioni, con la conseguente rilevanza della volontà del singolo di partecipare o meno all'ente sociale, pur potendo tale volontà essere ricavata (se non esiste una contraria norma di statuto o di legge) da presunzioni o da fatti concludenti, quali la consapevolezza di acquistare un immobile compreso in un consorzio, oppure l'utilizzazione concreta dei servizi messi a disposizione dei partecipanti"
Se il consorzio è un'associazione non riconosciuta per aderire alla stessa (e, quindi, per essere obbligati al pagamento delle quote di partecipazioni) occorre il consenso di tutti del singolo associato (identico discorso deve valere per l'ipotesi di "recesso" dall'associazione che deve essere sempre consentito). Quanto alla forma necessaria per la manifestazione di volontà necessaria per aderire al consorzio, salvo che la legge o lo statuto richiedano la forma espressa o addirittura quella scritta, la volontà di partecipare alla costituzione del consorzio o di aderire al consorzio già costituito può essere manifestata anche tacitamente e desumersi da presunzioni o fatti concludenti, quali la consapevolezza di acquistare un immobile compreso in un consorzio oppure l’utilizzazione in concreto dei servizi posti a disposizione dei consorziati. E, certo, non si può prescindere dall'adesione al consorzio del singolo partecipante, infatti, “In tema di consorzi volontari costituiti fra proprietari d’immobili per la gestione di parti e servizi comuni, la partecipazione o l’adesione ad esso da parte dell’acquirente di un immobile compreso nel consorzio deve risultare da una valida manifestazione di volontà, giacchè altrimenti sarebbe violato il diritto di non associazione garantito dall’art 18 Cost.” (Cass. n. 6666 dei 30/03/2005).
E' sempre necessario il consenso anche quando si acquista un appartamento il cui proprietario ha precedentemente aderito al consorzio, e, certo, in assenza di una adesione al consorzio l’obbligo di chi subentra nella proprietà di un immobile facente parte di un consorzio, non può essere affermato che l’obbligazione di pagamento delle spese consortili è una obbligazione propter rem, giacchè tali obbligazioni sono caratterizzate dal requisito della tipicità, con la conseguenza che possono sorgere per contratto solo nei casi e col contenuto espressamente previsti dalla legge” (Cass, n- 25289 del 2007, 5889/20 10).
E' opportuno sottolineare che solo dall'adesione al consorzio del singolo partecipante deriva e sorge l'obbligo di pagare i contributi o le quote associative, infatti solo la partecipazione al consorzio può far sorgere l’obbligazione di versare la quota stabilita dagli organi statutariamente competenti, legittimando la pretesa di pagamento (Cass. n. 13537 del 15/09/2003). (Se, poi, il giudice competente possa essere quello indicato dall'art. 23 cpc è tutto da valutare).
Quanto, invece, alla soluzione sub c, in cui prima si costituisce il consorzio e poi si crea il supercondominio, in questa ipotesi il consorzio resta un'associazione non riconosciuta che richiedere l'adesione del singolo partecipate, ma eventualmente, e contemporaneamente, sorge anche il supercondominio, che, certo, non può essere esautorato da un'associazione non riconosciuta. Infatti, l’obbligatorietà della partecipazione al consorzio non potrebbe desumersi per l’avvenuta costituzione di una communio incidens, in quanto tale circostanza non terrebbe conto del fatto che i proprietari che si trovino in un medesimo comprensorio possono – ma non debbono – unirsi per gestire in comune alcuni servizi, con facoltà di scegliere liberamente lo strumento contrattuale (associazione di fatto, cooperativa, consorzio) ritenuto più idoneo allo scopo.

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mercoledì 3 giugno 2015

I debiti contratti dal condominio. Una breve guida su quello che occorre sapere per meglio difendersi. Condomini morosi: obblighi dell’amministratore, la solidarietà passiva e il principio di parziarietà. (www.StudioCataldi.it)

Una esaustiva guida circa i debiti contratti dal condominio pubblicata sul sito Studiocataldi.it
Negli immobili in condominio le spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune, al pari di quelle relative alla prestazione di servizi e alle innovazioni di interesse comune, sono a carico dei singoli condomini in misura proporzionale al valore delle rispettive proprietà.
Il principio generale enunciato dall’art. 1123 co. I c.c., può subire delle deroghe nel caso di diversa convenzione e, in virtù dei successivi II e III comma, nell’ipotesi di beni destinati a servire i condomini in misura diversa, nel qual caso le spese sono ripartite proporzionalmente sulla scorta del diverso uso (più o meno intenso) che ciascuno può farne; allorquando l’edificio in condominio abbia più strutture (scale, cortili, lastrici solari), opere o impianti destinati a servire solo parte del fabbricato, sicché le relative spese vanno imputate esclusivamente al gruppo di condomini che ne trae utilità.
Ciò posto, la titolarità di un diritto reale sulla cosa comune, che si identifica nel diritto di proprietà ovvero la titolarità di un diritto di godimento, è il caso del diritto di uso, usufrutto e abitazione, fa sorgere in capo ai titolari degli anzidetti diritti l’obbligo di contribuzione alle spese.
Per completezza, prima di entrare nel merito dell’argomento trattato, si evidenzia come per cosa comune, o meglio, per usare l’espressione del legislatore “le parti comuni dell’edificio”, per le quali appunto nasce l’obbligo di contribuzione, risultano, se il contrario non emerge dal titolo: “1) tutte le parti dell'edificio necessarie all'uso comune, come il suolo su cui sorge l'edificio, le fondazioni, i muri maestri, i pilastri e le travi portanti, i tetti e i lastrici solari, le scale, i portoni di ingresso, i vestiboli, gli anditi, i portici, i cortili e le facciate; 2) le aree destinate a parcheggio nonché i locali per i servizi in comune, come la portineria, incluso l'alloggio del portiere, la lavanderia, gli stenditoi e i sottotetti destinati, per le caratteristiche strutturali e funzionali, all'uso comune; 3) le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere destinati all'uso comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli impianti idrici e fognari, i sistemi centralizzati di distribuzione e di trasmissione per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento ed il condizionamento dell'aria, per la ricezione radiotelevisiva e per l'accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo, e i relativi collegamenti fino al punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, ovvero, in caso di impianti unitari, fino al punto di utenza, salvo quanto disposto dalle normative di settore in materia di reti pubbliche” (art. 1117 c.c.).
Anteriormente alla profonda riforma del condomino apprestata dalla L. 220/2012, entrata in vigore il 18.06.2013, e prima dell’oramai storica sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 9148/2008, generalmente, la giurisprudenza era portata a considerare l’obbligazione assunta dal condominio alla stessa stregua di una obbligazione solidale tout court, di talché il debito del condominio era ritenuto esigibile per intero nei confronti del singolo condomino, a prescindere dalla quota millesimale di sua pertinenza e dal fatto che lo stesso avesse già eventualmente provveduto a versarla.
In altri termini il creditore poteva soddisfarsi per intero sul patrimonio del singolo condomino, salvo il diritto di rivalsa di quest’ultimo nei confronti degli altri partecipanti al condominio.
Come accennato, con la sentenza 8 aprile 2008, n. 9148, la Corte di Cassazione, a sezioni unite, ha definitivamente escluso la solidarietà fra i condomini per le obbligazioni assunte verso terzi, affermando l’importante principio per cui: “La solidarietà passiva, in linea di principio, esige la sussistenza non soltanto della pluralità dei debitori e della identica causa dell'obbligazione, ma altresì della indivisibilità della prestazione comune; in mancanza di quest'ultimo requisito e in difetto di una espressa disposizione di legge, la intrinseca parziarietà della obbligazione prevale. Considerato che l'obbligazione ascritta a tutti i condomini, ancorché comune, è divisibile, trattandosi di somma di danaro, e che la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge, dal momento che l'art. 1123 c.c., interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno da quello interno; rilevato, infine, che - in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità - l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote, le obbligazioni e la susseguente responsabilità dei condomini sono governate dal criterio della parziarietà, secondo regole consimili a quelle dettate dagli artt. 752 e 1295 cod. civ. per le obbligazioni ereditarie”.
Quale conseguenza pratica di detto principio: “… il terzo creditore, conseguita in giudizio la condanna dell'amministratore quale rappresentante dei condomini, può procedere esecutivamente nei confronti di questi ultimi non per l'intera somma dovuta, bensì solo nei limiti della quota di ciascuno”.
Questo il quadro giuridico-normativo applicabile a tutte le obbligazioni sorte prima del 18 giugno 2013.
Al contrario, per le obbligazioni sorte successivamente, occorrerà fare riferimento alle nuove norme introdotte dalla L. 220/2012.
In questa sede, in considerazione dell’argomento trattato, quella che più ci interessa è la statuizione portata dall’art. 66 disp. att. c.c., per il quale: “Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi.
I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini.
In caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l'amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.
Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente.
Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”.
Prima di entrare nel merito della nuova disposizione, occorre fare due fondamentali premesse: la prima di carattere generale, che riguarda anche il periodo antecedente a quello in osservazione; la seconda più specifica, con valenza limitata al periodo successivo al 18 giugno 2013.
1) Il principio di parziarietà delle obbligazioni in capo al condominio, ora come allora, non risulta principio applicabile in assoluto.
In realtà anche le Sezioni Unite, nella sentenza n. 9148/08, avevano già lasciato intravedere detta limitazione, laddove nella motivazione veniva specificato come solo in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, la responsabilità dei condomini nel caso di obbligazioni pecuniarie è retta dal criterio della parziarietà.
Pertanto, anche in materia condominiale, sussiste un obbligo solidale (residuale) nel caso di obbligazione espressamente ritenuta tale dalla legge sicché, in questi casi, il creditore potrà esigere l’intero importo dell’obbligazione nei confronti del singolo condomino.
Sono i casi di responsabilità disciplinati dall’art. 2055 c.c., per il quale: “Se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. Colui che ha risarcito il danno ha regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa e dall'entità delle conseguenze che ne sono derivate. Nel dubbio, le singole colpe si presumono uguali”, ubicato nel libro IV, titolo IX, del Codice Civile, in materia di “Fatti Illeciti”.
Si pensi al fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto (art. 2043), oppure al risarcimento del danno cagionato dalle cose in custodia (art. 2051).
Ecco che allora, in siffatti casi, si consideri ad esempio il danno provocato da scale (parte comune dell’immobile) danneggiate o pericolanti, la cui custodia ovviamente spetta al condominio, l’obbligazione derivante, una volta accertato e quantificato il danno, risulta esigibile nei confronti anche del singolo condomino per l’intero, e ciò pure nella vigenza della nuova normativa.
Detto principio è stato di recente ribadito dalla Suprema Corte, chiamata a giudicare in merito ai danni provocati ad un magazzino posto al piano scantinato e ai locali adibiti a esercizio commerciale, da infiltrazioni di acqua e ristagni provenienti da beni condominiali.
In questa occasione è stato ricordato come “l'applicabilità dell'art. 2055 c.c. (che opera un rafforzamento del credito evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota) ai danni da cosa condominiale in custodia trova una prima conferma, innanzi tutto, in alcuni precedenti di questa Corte, come Cass. n. 6665/09, che ha ritenuto il condomino danneggiato quale terzo rispetto allo stesso condominio cui è ascrivibile il danno stesso (con conseguente inapplicabilità dell'art. 1227 c.c., comma 1); Cass. n. 4797/01, per l'ipotesi di danni da omessa manutenzione del terrazzo di copertura cagionati al condomino proprietario dell'unità immobiliare sottostante; Cass. n. 6405/90, secondo cui i singoli proprietari delle varie unità immobiliari comprese in un edificio condominiale, sono a norma dell'art. 1117 c.c. (salvo che risulti diversamente dal titolo) comproprietari delle parti comuni, tra Le quali il lastrico solare, assumendone la custodia con il correlativo obbligo di manutenzione, con la conseguenza, nel caso di danni a terzi per difetto di manutenzione del detto lastrico, della responsabilità solidale di tutti i condomini, a norma degli artt. 2051 e 2055 c.c.”.
Ciò posto, è stato stabilito il principio per cui: “Il custode non può essere identificato né nel condominio, interfaccia idoneo a rendere il danneggiato terzo rispetto agli altri condomini, ma pur sempre ente di sola gestione di beni comuni, né nel suo amministratore, essendo questi un mandatario dei condomini. Solo questi ultimi, invece, possono considerarsi investiti del governo della cosa, in base ad una disponibilità di fatto e ad un potere di diritto che deriva loro dalla proprietà piena sui beni comuni ex art. 1117 c.c. Se ne deve trarre, pertanto, che il risarcimento del danno da cosa in custodia di proprietà condominiale non si sottrae alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, 1 comma c.c., individuati nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili” (Cass. civ, Sez. II, 29/01/2015, n. 1674).
2) La seconda considerazione che, questa volta, riguarda esclusivamente il periodo successivo all’entrata in vigore della riforma, è quella per cui – in linea teorica – non ci si dovrebbe più preoccupare della parziarietà dell’obbligazione, nei termini pratici del recupero materiale del credito da parte del terzo, proprio in virtù delle novità introdotte in materia condominiale.
Infatti, il novellato art. 1135 c.c., al numero 4, stabilisce come l’assemblea dei condomini provvede: “alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all'ammontare dei lavori; se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti dovuti”.
Ciò presuppone che i fondi necessari al pagamento dei creditori (ad esempio: fornitori; chi materialmente presta la propria opera per la realizzazione degli anzidetti lavori; ecc.), dovrebbero già essere accantonati per intero, o in virtù dello stato di avanzamento, prima dell’inizio dei lavori e, quindi, materialmente corrisposti nel momento dell’ultimazione degli stessi ovvero alla fine dei singoli stati di avanzamento, di talché difficilmente potrebbe residuare un debito a carico del condominio.
A ciò si aggiunga come il novellato art. 1129 c.c., al numero IX, dispone che: “Salvo che sia stato espressamente dispensato dall'assemblea, l'amministratore è tenuto ad agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio nel quale il credito esigibile è compreso, anche ai sensi dell'articolo 63, primo comma, delle disposizioni per l'attuazione del presente codice”, pertanto, anche con decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e senza alcuna necessità di autorizzazione da parte dell’assemblea.
Anche in questo caso appare plausibile ipotizzare che, prima che il terzo creditore “batta cassa”, l’amministratore, per mezzo dell’anzidetta procedura anche esecutiva, riesca a reperire le somme necessarie ad estinguere l’obbligazione contratta verso terzi, evitando l'azione giudiziaria di questi.
Pertanto, la nuova normativa ha approntato una serie di obblighi per l’amministratore - la cui violazione fonderebbe l’ipotesi della grave irregolarità e, contestualmente, legittimerebbe la revoca dello stesso da parte dell’autorità giudiziaria su ricorso di ciascun condominio, ex art. 1129 c.c. -, proprio al fine di arginare fenomeni di eccessivo indebitamento da parte del condominio e, pertanto, la presenza di un rilevante numero di creditori che inevitabilmente cercherebbero di soddisfarsi sul patrimonio dei singoli condomini.
Infine, altra novità di non poco conto è quella per cui, sempre in virtù del novellato art. 1129 c.c. (num. VII), dal 18 giugno 2013: “L'amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condomini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condomino, per il tramite dell'amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica”, altra ipotesi che, in mancanza, legittimerebbe la revoca giudiziale dell’amministratore.
Con riferimento a quanto testé visto e, pertanto, all’esistenza di un conto corrente condominiale, il terzo creditore, a prescindere dalla parziarietà o meno dell’obbligazione, ben potrebbe sottoporre a pignoramento (presso terzi) le somme depositate su detto conto corrente, con notevole risparmio di tempo e denaro.
Ed infatti, se in fase di primo commento alla legge di riforma, si è sostenuto erroneamente che detto conto corrente non fosse pignorabile - essenzialmente sulla scorta della circostanza per la quale nello stesso molto probabilmente sarebbero confluite solo le somme versate dai condomini in regola con i pagamenti, e non certo quelle dei condomini morosi effettivi debitori del terzo e perché il nuovo art. 63 disp. att. c.c. impone ai creditori di escutere prima il condomino non in regola con i pagamenti -, la prima giurisprudenza formatisi sul punto ha inesorabilmente smentito detta tesi.
Tanto è vero che prima il Tribunale di Reggio Emilia, con ordinanza del 15.05.2014, e poi quello di Milano, con ordinanza del 27.05.2014, hanno ritenuto che allorquando venga costituito un patrimonio (nella specie, un conto corrente) intestato formalmente all'ente di gestione, si realizzi una - seppur embrionale - autonomia patrimoniale derivante proprio dalle attività di gestione che, per ciò solo, determina la imputazione della titolarità di essi in capo esclusivamente al condominio. Dunque, dal momento che le somme esistenti su detto conto sono intestate formalmente all'ente di gestione, che ne può così disporre sulla base delle decisioni dell'organo assembleare, esse devono conseguentemente ritenersi sottratte alla disponibilità dei singoli condomini, con la conseguenza finale che si realizzi quella evidenziata coincidenza tra soggetto debitore e titolare del patrimonio aggredito che consente l'attivazione della procedura esecutiva.
In altre parole, alle somme presenti sul conto viene impresso un vincolo di destinazione che, al pari delle parti comuni dell'edificio, determina l'elisione del legame giuridico tra singoli condomini e il condominio.
Ed infatti, negare la pignorabilità del conto corrente condominiale avrebbe comportato delle illegittime differenze di trattamento in fattispecie sostanzialmente identiche: si pensi al caso del pignoramento delle retribuzioni o la pensione del debitore, espropriabili (generalmente) nella misura di un quinto, salvo non confluiscano in un conto corrente bancario nel qual caso, perdono la loro specifica connotazione, rientrando nel patrimonio dell’obbligato, e sono pignorabili per intero. Esattamente come ritenuto dai Tribunali di Reggio Emilia e Milano, con riguardo al conto corrente condominiale.
Ciò detto, ritornando al concetto di parziarietà dell’obbligazione contratta dal condominio e, pertanto, all’ipotesi di morosità dello stesso, abbiamo verificato come detta evenienza dovrebbe (il condizionale è d’obbligo) riscontrarsi in casi residuali, che sfuggano alle varie “garanzie” sopra tratteggiate (fondo per le opere straordinarie; obbligo di riscossione anche coattiva delle quote condominiali; pignorabilità del conto corrente condominiale) e che dovrebbero attenere essenzialmente alle spese cosiddette ordinarie, vale a dire quelle di manutenzione e conservazione delle parti comuni e alla prestazione di servizi comuni.
La formulazione del novellato art. 63 disp. att. c.c., purtroppo, non brilla per chiarezza, tanto che ha ingenerato qualche dubbio, addirittura si è adombrata l’ipotesi della re-introduzione della solidarietà nelle obbligazione condominiali.
Abbiamo già anticipato che detta disposizione consente all’amministratore di riscuotere le “quote condominiali” sulla scorta del piano di ripartizione approvato dall’assemblea, e di ottenere ingiunzione di pagamento, immediatamente esecutiva, senza alcuna autorizzazione della stessa.
Norma che letta in relazione all’art. 1129 c.c., sostanzialmente, obbliga l’amministratore ad agire anche esecutivamente, entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio nel quale è maturato il credito (quota condominiale).
Il passaggio che ha creato le anzidette perplessità è quello di cui al II comma: “I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini”.
Tuttavia, diciamo subito che in difetto di un espresso vincolo di solidarietà questo non si può affatto desumere né, appunto, dal tenore letterale della norma, ma neppure in via interpretativa, atteso che in ogni caso osterebbero i principi di diritto già cristallizzati nella sentenza della Cassazione 9148/08.
Escluso, pertanto, all’origine qualsivoglia intento solidaristico potremmo ritenere che l’anzidetta norma ha voluto apprestare una sorta di duplice “garanzia”, sia in favore del creditore, sia in favore del condomino in regola con i pagamenti.
Tanto è vero che la stessa dispone il divieto per il creditore di agire nei confronti dei condomini (“obbligati”) in regola con i pagamenti, se non dopo aver escusso il patrimonio degli effettivi debitori.
In altri termini, il condomino in regola con i pagamenti viene assimilato - in senso lato - ad un fideiussore (funzione di garanzia), ed infatti la norma in commento presenta dei caratteri di affinità con quella di cui all’art. 1944 c.c.: “Il fideiussore è obbligato in solido col debitore principale al pagamento del debito. Le parti però possono convenire che il fideiussore non sia tenuto a pagare prima dell'escussione del debitore principale”.
Tuttavia, nel caso del fideiussore la norma, contrariamente a quello che avviene in materia condominiale, parla espressamente di “obbligato in solido” - questo ad avvalorare la tesi che laddove il legislatore ha voluto disporre un vincolo di solidarietà, lo ha esplicitamente manifestato - e il beneficio dell’escussione è solo eventuale, dovendo essere “convenuto”.
Nel nostro caso, invece, l’obbligazione non risulta solidale e l’escussione del patrimonio del condomino non moroso, diventa sussidiaria, eventuale e successiva a quella del patrimonio dell’effettivo debitore.
Inoltre, la funzione di “garanzia” prestata dal condomino in regola con i pagamenti, sulla scorta della giurisprudenza formatasi ante riforma, letta con riferimento all’art. 1123 c.c., per il quale le spese necessarie per la conservazione e il godimento delle parti comuni e per i servizi in condominio sono sostenute in misura proporzionale al valore della proprietà dei singoli condomini, ci porta a sostenere che detta garanzia è limitata al valore della quota (millesimi) di ogni condomino.
Pertanto il novellato art. 63 disp. att. c.c. configura, per i condomini in regola con i pagamenti, una funzione di "garanzia secondaria parziale", operativa solo in caso di condomini morosi e con un patrimonio insufficiente ad onorare il proprio debito, ma sempre limitata al valore millesimale della rispettiva quota.
Fatte salve le eccezioni sopra viste in merito alle obbligazioni solidali ex lege - lo ricordiamo sono le ipotesi contemplate dall’art. 2055 c.c. - per cui la funzione di garanzia secondaria parziale del condomino in regola con i pagamenti, cede il passo alla solidarietà disposta dal precetto normativo specifico, rendendo il credito del terzo esigibile nei confronti anche del singolo condomino per l’intero.
Veniamo ora alle conseguenze rinvenienti dall’applicazione pratica della norma in commento.
Il creditore del condominio, una volta ottenuto il titolo per agire esecutivamente nei confronti dello stesso - si pensi ad esempio al decreto ingiuntivo ovvero alla sentenza di condanna -, notificato lo stesso, dovrà attendere che l’amministratore, convocata l’assemblea, ripartisca il debito tra tutti i condomini sulla scorta dei rispettivi millesimi di proprietà.
Conseguentemente l’amministratore, incamerate le somme, dovrà versarle in favore del creditore, per estinguere l’obbligazione contratta dal condominio.
Nel caso di condomino/i moroso, su richiesta del creditore insoddisfatto, l'amministratore dovrà necessariamente fornire i dati dello stesso (art. 63 disp. att. c.c. co. II).
Questo, come visto, è un vero e proprio “obbligo di legge” la cui violazione abilita il creditore ad agire giudizialmente per l’ottenimento dei dati richiesti, anche con la condanna alle spese di giudizio.
In questi casi, gli strumenti giudiziari che l’ordinamento mette a disposizione del creditore potranno individuarsi nel giudizio ordinario, nel ricorso ex art. 700 cpc (nei casi di estrema urgenza) ovvero nello speciale procedimento di cognizione sommaria regolato dagli artt. 702 bis e segg. cpc.
Una volta ottenuto il nominativo e i dati del condomino/i moroso, il creditore, deve notificare il titolo esecutivo e l’atto di precetto, notificazione che può essere anche contestuale.
Questo passaggio è essenziale per il corretto avvio dell’eventuale esecuzione forzata: ed invero, sulla scorta del principio per cui non è ravvisabile alcuna responsabilità solidale tra il condominio ed il condomino, su cui grava come visto una responsabilità solo parziale in relazione alla sua quota, anche nei rapporti esterni, è stato correttamente ritenuto che: “La notificazione del titolo esecutivo non è necessaria per il destinatario diretto del decreto monitorio nell'ipotesi prevista dall'art. 654, comma 2, c.p.c.. Viceversa, siffatta notificazione deve essere effettuata allorché si intenda agire contro un soggetto, non indicato nell'ingiunzione, per la pretesa sua qualità di obbligato solidale. Ed infatti, tale soggetto deve essere messo nelle condizioni di conoscere qual è il titolo ex art. 474 c.p.c., in virtù del quale viene minacciata in suo danno l'esecuzione, ma anche di potere adempiere l'obbligazione da esso risultante entro il termine previsto dall'art. 480 c.p.c.” (Cass. Civ., Sez. III, 30/01/2012, n. 1289. Da ultimo: Tribunale di Nocera Inferiore, 30/04/2014).
Pertanto, il titolo esecutivo giudiziale - sia esso un decreto ingiuntivo come nel caso sopra visto sottoposto al vaglio della Suprema Corte ovvero una sentenza di condanna - formatosi nei confronti dell'ente di gestione condominiale in persona dell'amministratore pro-tempore, per essere validamente azionato nei confronti del singolo condomino, deve essere necessariamente notificato al medesimo condomino contro il quale si intende agire.
L’omessa notifica del titolo esecutivo consentirebbe, al condomino esecutato, l’opposizione al precetto ovvero all’esecuzione o agli atti esecutivi (ex artt. 615 e segg. cpc) che risulterebbe, sulla scorta dei principi appena enunciati, assolutamente fondata.
Altrettanto corretta risulterebbe, quale logica conseguenza del principio di parziarietà, l’opposizione del condomino avverso l’intimazione di pagamento dell’intero credito, considerato che lo stesso - come più volte ripetuto - risponde esclusivamente nei limiti della quota millesimale di proprietà. In altri termini, l’importo del credito insoddisfatto, per essere correttamente esigibile, deve essere distribuito tra i condomini in regola con i pagamenti, in misura corrispondente ai millesimi di proprietà di ognuno.
Tuttavia, questa eventualità potrà avverarsi solo allorquando il creditore abbia esaurito infruttuosamente tutte le azioni esperibili nei confronti del condomino/i effettivo debitore (moroso), sotto pena, in mancanza, di giustificata opposizione da parte del condomino in regola con i pagamenti.
In altri termini, per poter legittimamente richiedere il pagamento (pro quota) al condomino in regola con i pagamenti, il creditore dovrà preventivamente intraprendere tutte le procedure, anche esecutive (mobiliari, immobiliari e presso terzi), in danno del condomino moroso nonché seguirle con la dovuta diligenza e buona fede.
Il creditore, quindi, dovrà dare la rigorosa prova di aver fatto tutto il possibile per soddisfare il proprio credito nei confronti del condomino moroso, prima di aggredire il patrimonio del condomino in regola con i pagamenti, in mancanza, lo stesso potrebbe proficuamente opporsi all’esecuzione nei suoi confronti.
Va da se che il condomino che ha assolto alla funzione di “garanzia”, con il pagamento (pro quota) del debito di pertinenza del condomino moroso, avrà azione di regresso nei confronti dello stesso per la restituzione di quanto pagato per suo conto.
Tuttavia, inutile nasconderlo, le possibilità di rientrare nel possesso delle somme versate, risultano – quanto meno nel breve periodo – francamente scarse.
Non fosse altro perché il patrimonio del condomino moroso evidentemente risulta insussistente/incapiente, altrimenti sarebbe stato preventivamente aggredito dal creditore in virtù del “beneficio di escussione” imposto dall’art. 63 disp. att. c.c.: “I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condomini”.
Infine un utile avvertimento per non incorrere nel plausibile rischio di pagare due volte.
Nel caso in cui non si sia ancora giunti all’intimazione di pagamento (notifica titolo e atto di precetto), vale a dire quando si versi ancora nella fase pre-esecutiva, il pagamento da parte dei condomini della quota di rispettiva pertinenza, andrà necessariamente effettuato nelle “mani” dell’amministratore dello stabile, giammai in favore del medesimo creditore.
Ed invero, premesso che Il condominio si pone, verso i terzi, come soggetto di gestione dei diritti e degli obblighi dei condomini, attinenti alle parti comuni, sicché l'amministratore è rappresentante necessario della collettività dei partecipanti, sia quale assuntore degli obblighi per la conservazione delle cose comuni, sia quale referente dei relativi pagamenti, logica conseguenza di ciò è che: “non è idoneo ad estinguere il debito "pro quota" il pagamento eseguito dal condomino direttamente a mani del creditore del condominio, se tale creditore non è munito di titolo esecutivo verso lo stesso singolo partecipante” (Cass. civ., Sez. VI, ordinanza 17/02/2014).
Di talché, il pagamento effettuato direttamente al creditore del condominio, sempre che il creditore medesimo non si sia a sua volta munito di titolo esecutivo nei confronti del singolo condomino, non libererà lo stesso dal debito pro quota (Nello stesso senso anche: Cass. civ. Sez. II, 29/01/2013, n. 2049).
Pertanto, in fase di ripartizione pro quota del debito, il pagamento dei singoli condomini, non obbligati personalmente, andrà sempre e comunque effettuato nelle mani dell’amministratore e non in quelle del creditore del condominio.




(www.StudioCataldi.it) 

lunedì 1 giugno 2015

Consumatori: via libera alla risoluzione 'stragiudiziale' delle controversie (Fonte: www.StudioCataldi.it)

Novità in arrivo per i consumatori che d’ora in poi avranno uno strumento “semplice” per la risoluzione stragiudiziale delle controversie con le imprese.
Sul tavolo del Consiglio dei Ministri n. 63 è arrivato il decreto legislativo attuativo della direttiva europea (n. 2013/11/UE) sulle controversie extragiudiziali dei consumatori.
L’approvazione del decreto comporta diverse modifiche ed integrazioni al Codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005), con il fine, assicura il Governo, “di mantenere una disciplina unitaria della materia salvaguardando il più possibile l’impostazione del codice medesimo”.
Via libera, dunque, alle “ADR”, ossia agli organismi che offrono la possibilità di pervenire ad una risoluzione delle controversie attraverso un ampio ventaglio di procedure ad hoc (mediazione, arbitrato, negoziazioni, ecc.), istituiti su base permanente ed iscritti in apposito elenco tenuto dalle autorità competenti (Ministero giustizia, Consob, Agcom, ecc.). A queste ultime spetterà definire il procedimento per l’iscrizione e la verifica del rispetto dei requisiti di “stabilità, efficienza, imparzialità”, nonché del principio di “tendenziale non onerosità”, per l’utente, del servizio.
Tra gli obblighi degli organismi, inoltre, è stato fissato quello di mantenere un sito web che fornisce alle parti facile accesso alle informazioni, garantendo, però, al contempo, ai consumatori la possibilità di presentare reclamo anche non tramite canale telematico.
In ogni caso, qualsiasi sia l’esito della procedura di composizione stragiudiziale, rimane fermo il principio secondo il quale il consumatore “non potrà essere privato in nessun caso del diritto di adire il giudice competente”. 
Fonte: Consumatori: via libera alla risoluzione 'stragiudiziale' delle controversie 
(www.StudioCataldi.it)