martedì 22 settembre 2015

Modifica delle destinazioni d'uso delle parti condominiali e le modifiche "significative" (da Il Sole 24Ore)


Le ‹‹modificazioni delle destinazioni d’uso›› delle parti comuni, finalizzate a soddisfare le esigenze d’interesse condominiale, hanno difficoltà a decollare per l’incertezza che suscita tale espressione se confrontata con quella che, prima dell’entrata in vigore dell’articolo 1117-ter del Codice civile, comprendeva tutte le innovazioni nell’articolo 1120, 
comma 1, del Codice civile. Deliberabili con un quorum quasi “proibitivo” (quattro quinti dei partecipanti al condominio e quattro quinti dei millesimi) e con un iter di convocazione dell’assemblea piuttosto articolato (l’invio della convocazione con la raccomandata o con mezzi telematici deve pervenire almeno venti giorni prima della data di convocazione, deve essere affisso per non meno di trenta giorni nei locali di maggior uso o negli spazi a tal fine destinati), le modificazioni del bene comune potrebbero trasformarlo fino a consentirne un uso del tutto estraneo rispetto alla sua originaria destinazione oggettiva e strutturale.
Le innovazioni «semplici»
L’articolo 1120, comma 1 del Codice civile, anche nella nuova formulazione, tutela le innovazioni delle cose comuni purché «dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni». Le innovazioni, però, trovano la loro definizione nelle pronunce della giurisprudenza che ha inteso come tali «non tutte le modificazioni, ma solamente quelle modifiche che, determinando l’alterazione dell’entità materiale o il mutamento della destinazione originaria, comportano che le parti comuni, in seguito all’attività o alle opere eseguite, presentino una diversa consistenza materiale ovvero vengano a essere utilizzate per fini diversi da quelli precedenti» (Cassazione sentenza n. 12654/2006). Inoltre, «(...) Una particolare modificazione dunque che rende, per così dire, nuova la cosa, con trasformazioni e cambiamenti dell’originaria funzione e destinazione o con un’alterazione della sua entità sostanziale». (Cassazione, sentenza 18334/2012). In ogni caso, per le innovazioni “semplici” occorre una maggioranza speciale: quella degli intervenuti in assemblea, che rappresenti almeno i due terzi dei millesimi.
Modificazioni significative
Si può dire che le modificazioni delle destinazioni d’uso del bene comune, che prima della legge 220/2012, per interpretazione giurisprudenziale, rientravano nell’articolo 1120, Codice civile, ora rientrano nell’articolo 1117-ter, Codice civile, e che il legislatore le abbia voluto sottoporre a una disciplina specifica, addirittura, anche, sotto il profilo della convocazione di assemblea.
Trattasi di interventi significativi – come ad esempio l’installazione di un campo da tennis o da calcetto o addirittura di una piscina – che non rientrano i quegli “altri usi” cui oggettivamente il bene può essere, per sua natura, destinato. Un’area comune invece può essere destinata a parcheggio, a giardino, a parco giochi, per cui il cambiamento del suo uso in uno di questi è innovazione non significativa. Non determina sicuramente una modifica di destinazione di uso, per esempio, la locazione dei locali dell’ex portineria, oppure l’utilizzo di alcuni locali che ospitavano il lavatoio oppure la caldaia come ripostiglio o sala riunioni né l’aggiunta di una nuova funzione a quella originaria del bene. Queste sarebbero, infatti, semplici modifiche delle modalità di uso di un bene comune da deliberare in assemblea, a maggioranza degli intervenuti con almeno la metà del valore dell’edificio.
Gli interventi «modificativi», invece, sono interventi che, per esigenze di particolare interesse collettivo, comportano la modifica della destinazione d’uso in modo rilevante purché non rechino pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del fabbricato o non alterino il decoro architettonico (articolo 1117-ter, ultimo comma, del Codice civile). Quindi, per tali modifiche, che prima della riforma rientravano nella categoria generale delle innovazioni, la riforma ha stabilito un quorum deliberativo più alto. Si tratta infatti non di innovazioni semplici ma «modificative». Quindi, per approvarle (a differenza delle innovazioni “semplici”) ora occorrono almeno i 4/5 dei partecipanti e almeno 800 millesimi. L’amministratore, inoltre, deve inviare l’avviso di convocazione mediante lettera raccomandata o con equipollenti mezzi telematici (escludendo le altre forme di convocazione previste dall’articolo 66 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile) e lo stesso deve contenere, a pena di nullità, le parti comuni oggetto della modificazione e la nuova destinazione d’uso.
L’avviso deve pervenire, agli aventi diritto, almeno 20 giorni prima della data di convocazione e deve rimanere affisso per non meno di trenta giorni consecutivi nei locali di maggior uso comune o negli spazi a tal fine destinati.
Tale iter di convocazione deve essere riportato nella deliberazione che deve contenere la dichiarazione espressa che sono stati effettuati gli adempimenti previsti dall’articolo 1117-ter

sabato 12 settembre 2015

Corsi Base ed Aggiornamento per Amministratore condominiale con Mediacon s.r.l.


Segnaliamo che Mediacon ha organizzato il "Corso Base abilitante all'attività di Amministratore di condominio" e il "Corso di Aggiornamento obbligatorio per Amministratore di Condominio".
I Corsi sono stati così programmati:

Corso Base abilitante all'attività di Amministratore di condominio

PRIMA EDIZIONE – MILANO: dal 22 ottobre 2015 al 28 gennaio 2016 (OGNI GIOVEDI COSI’ DIVISI: 22ott, 29 ott, 5nov, 12nov, 19nov, 26nov, 3dic, 10 dic, 14gen, 21gen, 28gen).
SECONDA EDIZIONE – MILANO: dal 10 marzo 2016 al 26 maggio 2016 (COSI’ DIVISI: 10mar, 17mar, 22mar(martedi), 7apr, 14apr, 21apr, 28apr, 5mag, 12mag, 19mag, 26mag).
TERZA EDIZIONE: VARESE – Prossima attivazione
QUARTA EDIZIONE: BRESCIA – Prossima attivazione

PRIMA EDIZIONE  - MILANO - 26/27 OTTOBRE
SECONDA EDIZIONE - MILANO -9/10 NOVEMBRE
TERZA EDIZIONE - MILANO -  23/24 NOVEMBRE 


PER QUALSIASI INFORMAZIONE POTETE VISITARE IL SITO MEDIACON (www.mediacon.org) O SCRIVERE A    formazione@mediacon.org

giovedì 10 settembre 2015

Le spese condominiali vanno pagate comunque. Anche se l'appartamento è stato pignorato Fonte: (www.StudioCataldi.it)

Anche se il proprio appartamento è stato pignorato, il condomino non può sottrarsi al pagamento delle spese condominiali.
Infatti, la necessità di concorrere alle spese per la conservazione delle parti comuni è un’obbligazione che deriva dalla contitolarità sulle cose, sugli impianti e sui servizi comuni e segue il diritto di proprietà, trasferendosi solo con essa.
Tale obbligazione non è invece intaccata dal pignoramento immobiliare, in quanto esso non comporta che il condomino interessato non debba più essere considerato proprietario: egli, infatti, benché non possa sottrarre l’immobile alla garanzia del credito, non ne perde di certo la piena proprietà.
Oltretutto, occorre tener conto del fatto che chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e al precedente solidalmente a questo. E ciò vale anche in caso di aggiudicazione dell’immobile a seguito di procedura esecutiva o concorsuale. 

Alla luce di tutti tali assunti, il Giudice di Pace di Palermo, con la sentenza emessa in data 26 giugno 2015 (qui sotto allegata), ha quindi rigettato la richiesta di un condomino sottoposto a pignoramento di essere esentato dal pagamento degli oneri condominiali.
Posta la sua piena legittimazione passiva, il condomino, per potersi sottrarre al pagamento, avrebbe peraltro dovuto impugnare le delibere condominiali con le quali le spese e il loro riparto erano stati approvati, in base al combinato disposto degli articoli 1135 e 1137 c.c.: per giurisprudenza consolidata, infatti, le decisioni di spesa assunte dall’amministrazione condominiale sono ratificate laddove l’assemblea ne approvi l’operato.
Non avendovi provveduto, quindi, il condomino è stato condannato a pagare al condominio quanto dovuto e a rifondere le spese processuali.





(www.StudioCataldi.it) 

martedì 8 settembre 2015

Novità per i CTU esperti estimatori nelle procedura esecutive e fallimentari (D.L. 83/2015 conv. L. 132/2015)


Dal sito www.paolofrediani.it un'analisi approfondita delle novità per i CTU esperti estimatori nelle procedura esecutive e fallimentari

E' stata una estate calda (non solo per le temperature) per gli esperti giudiziari.
Infatti nell’attesa del decreto ministeriale di adeguamento delle tariffe, la mano del legislatore ha colpito (pesantemente) l’attività degli esperti stimatori nel processo esecutivo e fallimentare.
Molti colleghi mi hanno contattato per le vie brevi per chiedermi un parere o anche solo consigli o sollecitare una qualche iniziativa.
A breve uscirà sul Consulente Immobiliare un commento che ho preparato sul tema ed un evento formativo dedicato, ma ho deciso di riservare alcune riflessioni a Voi che “sopportate” le mie lezioni ed i miei scritti.
Dunque  il legislatore con il  decreto legge 27 giugno 2015, n. 83 coordinato con la conversione in legge 6 Agosto 2015 n.132 recante: «Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria» è intervenuto in modo sostanziale sui processi fallimentare e esecutivo.
Al di là degli aspetti generali della riforma ed a quelli d’interesse secondario che lascio ad altra sede, le novità che ci riguardano si individuano negli articolati del Codice di Procedura Civile e delle Disposizioni di Attuazione del Codice di Procedura Civile nella modifica dell’art.568 c.p.c. (Determinazione del valore dell’immobile)dell’art.569(Provvedimento per l’autorizzazione della vendita) in quelle dell’art.173 bis disp.att. c.p.c. (Contenuto della relazione di stima e compiti dell’esperto) ed in quelle (introdotte con la conversione in legge del decreto) dell’art. 161 c.p.c.(Giuramento dell’esperto e dello stimatore).
In sintesi:
Art. 568 c.p.c. (Determinazione del valore dell’immobile):
La novella recita che “gli effetti dell’espropriazione il valore dell’immobile è determinato dal giudice avuto riguardo al valore di mercato sulla base degli elementi forniti dalle parti e dall’esperto nominato ai sensi dell’articolo 569, primo comma. Nella determinazione del valore di mercato l’esperto procede al calcolo della superficie dell’immobile, specificando quella commerciale, del valore per metro quadro e del valore complessivo, esponendo analiticamente gli adeguamenti e le correzioni della stima, ivi compresa la riduzione del valore di mercato praticata per l’assenza della garanzia per vizi del bene venduto, e precisando tali adeguamenti in maniera distinta per gli oneri di regolarizzazione urbanistica, lo stato d’uso e di manutenzione, lo stato di possesso, i vincoli e gli oneri giuridici non eliminabili nel corso del procedimento esecutivo, nonché per le eventuali spese condominiali insolute.»;
Con ogni evidenza le novità sono significative e dobbiamo dire non tutte attese ed azzeccate. Esaminiamole per punti:
Calcolo della superficie dell’immobile: occorre rilevare che se da un lato la precisazione offerta dalla norma appare finanche pleonastica, non è da trascurare la indicazione relativa alla superficie commerciale. Invero, come noto agli operatori di mercato, la superficie commerciale è quella che deve essere valutata ai fini estimativi poiché è quella in cui concorrono con diversi pesi (i cosidetti rapporti mercantili) le superficie immobiliari secondarie annesse ovvero collegate. Appare quindi corretto fornire tale indicazione poiché al comune cittadino potrebbe sfuggire il motivo per il quale nelle operazioni estimative di un immobile, che fisicamente presenti una superfici,e se ne sia considerata un’altra.
Valore al metro quadrato e valore complessivo: è questa forse la scelta meno desiderata, infelice e forse inattesa dal legislatore; quella di continuare a considerare la valutazione immobiliare secondo il parametro del metro quadrato quando (ormai da tempo) tutte le dottrine e studi  nazionali ed internazionali in materia di estimo [valga sul punto solamente ricordare gli I.V.S. (International Valuation Standard), gli E.V.S. (European Valuation Standard), il Red Books (RICS),  il MOSI Manuale Operativo Stime Immobiliari (Agenzia del Territorio), il Codice delle Valutazioni Immobiliari (Tecnoborsa), il Codice per la valutazione degli immobili in garanzia delle esposizioni creditizie (ABI) nonchè quelle legate alle qualifiche professionali (vedasi ad esempio il riconoscimento di Esperto in valutazioni immobiliari norma UNI CEI EN ISO/IEC 17024:2012)] prevedono l’applicazione dei principi estimativi affermatisi internazionalmente secondo il criterio della comparazione di mercato (Market comparison approach), del criterio finanziario, (Income Approach) od ancora del metodo dei costi (Cost Approach).
La norma in parola quindi non si allontana dalla logica fino adesso seguita  quella che ha visto i processi delle stime immobiliari in Italia sempre stati legati a fattori eminentemente soggettivi; ma tant’è. La norma in trattazione prevede l’indicazione di un valore al metro quadrato; quello che possiamo auspicarci  è che la dizione della norma non traduca l’attività estimativa dell’esperto in una mera “stima convenzionale”  e  che invece l’ausiliario giudiziario voglia perlomeno operare (seppur il processo non costituirà mai una stima secondo i principi riconosciuti poch’anzi segnalati) ricercando il dato secondo beni immobili effettivamente comprabili sotto il profilo del segmento di mercato (la localizzazione; il tipo di contratto; la destinazione;  la tipologia immobiliare la tipologia edilizia; la dimensione; i caratteri della domanda e dell’offerta;  la forma di mercato; il livello del prezzo, il numero degli scambi e i rapporti mercantili ricorrenti) e sotto quello delle diverse caratteristiche immobiliari (locazionali, posizionali, tipologiche, economiche istituzionali.)
Adeguamenti e le correzioni della stima: questi debbono considerarsi per i fattori incidenti sul valore immobiliare quali certamente possono avere quelli stessi indicati dalla norma (che in parte ritroviamo nei quesiti di cui al successivo art. 173 – bis c.p.c.) come l’assenza della garanzia per vizi del bene venduto e precisando tali adeguamenti in maniera distinta per gli oneri di regolarizzazione urbanistica, lo stato d’uso e di manutenzione, lo stato di possesso, i vincoli e gli oneri giuridici non eliminabili nel corso del procedimento esecutivo, nonché per le eventuali spese condominiali insolute. In tal senso dobbiamo dire che il quadro dei quesiti richiesti agli esperti presso gli uffici esecuzione immobiliare di molti tribunali prevede già tali indicazioni con contenuti finanche pedissequi.
Art.569 (Provvedimento per l’autorizzazione della vendita):
Nella disposizione una menzione particolare merita la novella che ha ridotto il termine tra la data di emanazione del provvedimento a quello della data fissata per la udienza dagli originari 120 giorni a novanta giorni. E’ difatti in questo lasso temporale che l’esperto dovrà svolgere il proprio mandato al quale deve peraltro essere detratto il termine (oggi passato a trenta giorni) per l’invio della relazione alle parti (esecutato e creditoti). E’ sin troppo evidente al lettore esperto notare come tale termine risulti del tutto inadeguato e non rispondente alla realtà delle attività richieste all’esperto, oggi peraltro accresciute con l’intervento legislativo in parola, finanche da far pensare che il l’estensore del provvedimento abbia ben poco (o affatto) chiara la portata e l’estensione a cui è sottoposto l’ausiliario nel compimento del proprio incarico. Tale nuovo vincolo – crediamo –  genererà inevitabilmente richieste di proroga dei termini per il compimento dell’incarico che finiranno (laconicamente) con il vanificare le attese del legislatore di una maggiore speditezza dell’incarico peritale.
Art. 173 - bis disp.att. c.p.c. (contenuto della relazione di stima e compiti dell’esperto)
Sono stati inseriti dopo il punto 6) ulteriori punti (esattamente tre, dal n. 7 al n. 9). Vediamoli in dettaglio:
“7) in caso di opere abusive, il controllo della possibilità di sanatoria ai sensi dell’articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 e gli eventuali costi della stessa; altrimenti, la verifica sull’eventuale presentazione di istanze di condono, indicando il soggetto istante e la normativa in forza della quale l’istanza sia stata presentata, lo stato del procedimento,i costi per il conseguimento del titolo in sanatoria e le eventuali oblazioni già corrisposte o da corrispondere; in ogni altro caso, la verifica, ai fini della istanza di condono che l’aggiudicatario possa eventualmente presentare, che gli immobili pignorati si trovino nelle condizioni previste dall’articolo 40, sesto comma, della legge 28 febbraio 1985, n. 47 ovvero dall’articolo 46, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, specificando il costo per il conseguimento del titolo in sanatoria;
Giova osservare come la prassi affermatasi presso gli uffici giudiziari dall’ultima riforma incisiva del processo esecutivo (legge n.80/2005 introdotta nel Codice di Procedura Civile a far data dal 1° Marzo 2005) prevedeva a carico dell’ausiliario già tali incombenze. Qui si precisa ulteriormente sulla necessità di verificare la possibilità di sanatoria del bene eventualmente risultato affetto da illegittimità previa verifica della eventuale presentazione di istanze di condono, lo stato del procedimento, i costi per il conseguimento del titolo in sanatoria e le eventuali oblazioni già corrisposte o da corrispondere per definire l’istruttoria della pratica.
Ma su tutti giova osservare come il legislatore riservi una particolare attenzione alla possibilità offerta dall’art.40 della Legge n.47/85 ovvero dall’articolo 46, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 prevedendo anche il costo per il conseguimento del titolo in sanatoria. Appare utile ricordare che la norma in parola (Art. 40 - Mancata presentazione della istanza) della Legge 28 Febbraio 1985 n°47, per le procedure concorsuali o derivanti da espropriazioni immobiliari prevedeva che “Nella ipotesi in cui l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile purché le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della presente legge” . Va osservato che le ragioni del credito debbono individuarsi nella sottoscrizione dell’atto di mutuo (alcuni osservatori ritengono che in verità il momento debba coincidere con la trascrizione del detto atto) ovvero titolo del credito e che gli effetti di tale disposizione si estendono alle normative successive in materia di condono, nazionali e regionali, naturalmente ciascuna per quanto prescriveva e nei propri limiti applicativi. L’esperto dovrà pertanto segnalare in modo puntuale ed esaustivo le possibilità eventuali di applicazione delle normative atte a sanare quanto di illegittimo è stato accertato al fine di consentire all’aggiudicatario del bene di procedere nei termini disposti dall’art.40 alla presentazione dell’opportuna istanza che – come già osservato –  dovrà avvenire entro 120 giorni dal decreto di trasferimento.
Gli ulteriori punti introdotti dalla riforma prevedono:
8) la verifica che i beni pignorati siano gravati da censo, livello o uso civico e se vi sia stata affrancazione da tali pesi, ovvero che il diritto sul bene del debitore pignorato sia di proprietà ovvero derivante da alcuno dei suddetti titoli;
9) l’informazione sull’importo annuo delle spese fisse di gestione o di manutenzione, su eventuali spese straordinarie già deliberate anche se il relativo debito non sia ancora scaduto, su eventuali spese condominiali non pagate negli ultimi due anni anteriori alla data della perizia,sul corso di eventuali procedimenti giudiziari relativi al bene pignorato.”;
I punti citati prevedono la precisazione degli eventuali diritti rappresentanti da censi, livelli o usi civici incombenti sul bene, il loro stato e la loro derivazione.
Più di rilievo appare la necessità, stabilita dal punto 9, di verificare le spese di gestione ovvero manutenzione in capo all’immobile, eventuali e ove trattasi spese straordinarie già deliberate anche se il relativo debito non sia ancora scaduto, su eventuali spese condominiali non pagate negli ultimi due anni anteriori alla data della perizia. Naturalmente tali indicazioni possono essere tratte esclusivamente da un accesso alla documentazione dell’amministrazione condominiale al quale l’esperto dovrà essere autorizzato ad accedere da parte del giudice.
In ultimo si chiede all’esperto di verificare pure l’esistenza di eventuali procedimenti giudiziari in corso sul bene oggetto di consulenza omettendo tuttavia il canale attraverso il quale questa informazione dovrebbe essere assunta in assenza di collaborazione da parte del soggetto esecutato. In tal senso (e ove indispensabile) non parrebbe fuori luogo, per tale fine, autorizzare l’esperto all’accesso ai ruoli generali dei procedimenti giudiziari dei Giudici di Pace e del Tribunale  (telematico).
Art. 161 c.p.c. (Giuramento dell’esperto e dello stimatore)
La (funesta) novella è stata introdotta con la legge di conversione del decreto 6 agosto 2015, n. 132                   Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, recante misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria. (GU Serie Generale n.192 del 20-8-2015 - Suppl. Ordinario n. 50) entrata in vigore il 21/08/2015.
La disposizione  contenuta nell’articolo 14 “ a-ter) aggiunge all'art.161 (Giuramento dell’esperto e dello stimatore) il  seguente comma:  "Il compenso dell'esperto  o  dello  stimatore  nominato  dal giudice o dall'ufficiale giudiziario  e'  calcolato  sulla  base  del prezzo ricavato dalla vendita. Prima della vendita non possono essere liquidati acconti in misura superiore  al  cinquanta  per  cento  del compenso calcolato sulla base del valore di stima"»;
Con la disposizione in parola si è voluto introdurre una norma di limitazione (incisiva, ahimè) circa il corrispettivo dell’ausiliario e, implicitamente, una posticipazione del pagamento del suo onorario.
In particolare se la questione pare rilevare meno in ordine all’acconto concesso dal G.E. in fase di affidamento d’incarico (la maggior parte degli uffici giudiziari assegna somme che si aggirano sui 500 euro d’importo), se non in presenza di beni il cui valore sia realmente esiguo,  la questione appare invece assi più rilevante ed insidiosa per la liquidazione del compenso a conclusione del mandato.
Invero con il parametrare il corrispettivo dell’esperto al prezzo della vendita del bene, il legislatore  pare non voler tenere conto dell’accresciuto impegno che lo stesso oggi richiede all’esperto ed anche delle maggiori spese ed oneri che questi incontrerà. In sostanza – secondo il comma introdotto all’articolo 161 c.p.c. –  affinché la novella trovi applicazione, la liquidazione del compenso dell’esperto dovrà attendere la vendita del bene (se non con il riconoscimento di acconti che tuttavia non possono superare il 50% del valore stimato del bene); ciò espone  l’esperto nominato dal giudice delegato - in primo luogo – ad una indubbia penalizzazione sotto il profilo della tempistica del proprio pagamento  (che, peraltro, già attualmente era avvertita, dalla condotta assunta da taluni creditori) ed  - in secondo luogo –  lo lascerà in balìa del risultato delle dinamiche della vendita all’asta (magari articolatasi in diversi incanti) spesso estraneo alle logiche che ispirano i principi estimativi che guidano l’attività dell’esperto, provocando una indubbia e significativa penalizzazione economica.
Un’ applicazione sommaria della disposizione operata sulle attuali tabelle (oggetto peraltro di un intervento di aggiornamento da fonte ministeriale che, al momento, è ancora atteso), rivela che potrebbe accadere che per un bene il cui valore di stima sia di €.100.000,00  venduto al 3° incanto a €. 54.400,00  la penalizzazione economica per l’esperto si traduca in un 44% in meno di onorario, mentre per un bene il cui valore di stima sia di €.450.000,00  venduto sempre al 3° incanto a €. 244.400,00 , l’onorario dell’ausiliario si traduca in circa il 14% in meno.!
Peraltro– sempre con riferimento al compenso dell’esperto –  non si può fare a meno di osservare l’ulteriore l’insidia che (seppur implicitamente) recita la letterale dizione della novella “….e'  calcolato  sulla  base  del prezzo ricavato dalla vendita”. Questa sembrerebbe escludere la possibilità di far ricorso all’applicazione di tabelle diverse da quelle di cui all’art. 13 (attività di estimo), condizione invece ricorrente oggi in taluni uffici giudiziari dove  (giustamente) attesi i gravosi e diversificati compiti a carico dell’esperto vengono riconosciute dai giudici delegati (in una applicazione cumulata) anche tabelle ulteriori quali ad esempio l’art. 12 (primo e secondo comma ), l’articolo 3 ovvero le vacazioni.
Invero diversa applicazione parrebbe potersi giustificare per il solo riconoscimento dell’aumento dell’onorario ai sensi del disposto dell’art. 52 d.P.R.115/2002 (Aumento e riduzione dell’onorario) insindacabile in sede di legittimità e fonte  di riconoscimento da parte del solo magistrato in ordine ad un maggior tasso di difficoltà dell’incarico; applicazioni tabellari ulteriori all’articolo 13 cumulate a questo rispetto al dettato normativo, parrebbero invece interpretarsi improprie e quindi passibili di valutazione negative in sede di eventuale ricorso in opposizione alla liquidazione giudiziaria ai sensi dell’art.170 d.P.R.115/2002 e di verifica ispettiva ministeriale a carico delle liquidazioni ordinate dal giudice delegato.
Quello che ci possiamo augurare è un intervento correttivo del provvedimento da parte del ministero (magari sollecitato dalla rete delle professioni) e che nel frattempo, nell’applicazione della novella, i diversi uffici giudiziari  siano guidati da un “sano realismo” (che pare ancora una volta voler sfuggire al nostro legislatore) e non da “politiche conservative” (magari qualche ufficio per timore di superare con l’acconto il limite del 50% del valore stimato ridurrà l’importo oggi riconosciuto a tale titolo) concedendo (almeno dove il possibile valore del bene lo consenta) acconti congrui e commisurati all’impegno ed ai compiti richiesti all’esperto (magari – come pare consentire la norma –  anche dopo il deposito della consulenza) e concedano riconoscimenti nell’applicazione del compenso quanto mai giustificabili per gli aumentati compiti e responsabilità dell’ausiliario.
Insomma potremmo sinteticamente e laconicamente concludere che con questo nuovo intervento il legislatore ha inteso indicare agli esperti giudiziari la sua filosofia: “svolgere l’incarico con più compiti e responsabilità, con maggiore speditezza e con minor compenso!”
Nell’attesa fiduciosa di una qualche iniziativa da parte delle categorie professionali e sperando di aver fatto cosa gradita con queste poche riflessioni, Ti giungano i miei più cordiali saluti con la speranza di incontraci presto.
Paolo Frediani

http://www.paolofrediani.it/archivio-notizie/644-le-novita-per-gli-esperti-stimatori-contenute-nel-dl-832015-e-nella-l2312015.html

sabato 5 settembre 2015

Le spese legali per recuperare le morosità vanno anticipate dal condominio (Il Sole 24 Ore)


Il «sollecito» a chi non paga completamente e puntualmente le spese è una prassi frequente, che ormai si è fatta frequentissima. Ma, nonostante l’indulgenza che si può avere per il vicino, bisogna rendersi conto che ha un costo.
In questi casi infatti, comunemente, l’amministratore si rivolge a un avvocato di fiducia, che con la sua opera riesce ad ottenere il pagamento dei debiti dai condòmini inadempienti.
Nel migliore dei casi il condomino debitore, ricevuta la lettera dell’avvocato, deciderà di pagare subito il suo debito evitando ulteriori attività legali.
Nel caso in cui questi non pagasse in via stragiudiziale, tuttavia, l’avvocato sarà costretto ad agire in giudizio per ottenere la condanna del condomino al pagamento di quanto ancora dovuto.
Al termine del proprio mandato, comunque, l’avvocato consegnerà all’amministratore la fattura per le proprie prestazioni professionali stilata sulla base dell’attività svolta.
Chi paga la parcella
È lecito domandarsi se questa parcella debba essere pagata dal condominio nel complesso o solamente dai condomini morosi, tenendo indenni dal pagamento delle spese legali i comproprietari che avendo pagato puntualmente non hanno reso necessaria l’attività dell’avvocato.
Per quanto possa sembrare paradossale, l’amministratore dovrà, in prima battuta, pagare la parcella del legale con i fondi del conto corrente condominiale e quindi con denaro anche dei condòmini in regola con il pagamento delle spese. Anche questa, infatti, rientra nelle spese necessarie per il mantenimento della cosa comune, così come indicate nell’articolo 1123 del Codice civile. Si può dire, infatti, che tali spese siano impiegate dal palazzo al fine di assicurare il buon andamento della propria situazione finanziaria e quindi, nel lungo termine, mirino al benessere di tutti i condòmini. Inoltre è un preciso dovere dell’amministratore di condominio ottenere il pagamento dei contributi necessari al mantenimento dello stabile.
Comunque, una volta saldate le spese legali, l’amministratore dovrà poi inserirle come «addebito personale» nel consuntivo condominia, addebitandole ai morosi.
Le altre strade
Esistono però dei temperamenti a questo principio. Occorre in prima battuta specificare che, qualora il condòmino moroso si sia rifiutato di pagare prima del processo e l’avvocato abbia instaurato la causa, il giudice potrà provvedere nella stessa sentenza a condannare il debitore a pagare le spese legali direttamente al difensore del condominio. In questo modo l’amministratore non dovrà anticiparle.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 63 delle disposizioni di attuazione del Codice civile, il creditore del condominio deve in via preventiva escutere i condòmini morosi: «I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condòmini». In caso di mancato pagamento dell’avvocato del condominio, quindi, questi richiederà all’amministratore i nominativi dei condòmini non in regola con il pagamento delle spese. Anche se non sarà possibile escutere il singolo condòmino per l’intero debito, ma solo pro quota. Avendo ottenuto un titolo esecutivo valido, poi, l’avvocato potrà mettere in esecuzione la sentenza ottenendo il pagamento coattivo della propria parcella. Arrivando sino a ipotecare l’appartamento del condòmino e addirittura a venderlo all’incanto.