martedì 27 ottobre 2015

Guerre condominiali: recensione del nostro libro sul Quotidiano Condominio de IL SOLE 24Ore !!!!

Sul Quotidiano Condominio de Il Sole 24Ore è uscita una bella recensione del giornalista ed autore Saverio Fossati sul libro Guerre Condominiali, edito da Primiceri Editore e scritto a sei mani da Claudia Caravati, Luca Bini e Simone Scartabelli.

La recensione di Fossati riporta "…… Sono 196 pagine che leggere farebbe bene a tutti. Non solo perché c’è spiegato tutto quanto serve per capire e gestire la vita condominiale: ma anche e soprattutto per la scelta di narrare, in modo divertente e spiritoso, ciò che avviene davvero in un’assemblea o in un consiglio di condominio. Con una galleria di tipi umani tanto più divertenti quanto più realistici. Un libro nuovo che forse toglierà un po’ di muffa alla visione giuridichese delle problematiche condominiali, visione che spesso conduce in Tribunale mentre si dovrebbe riflettere e mettersi d’accordo, come gli autori saggiamente suggeriscono."
Un ringraziamento al giornalista Fossati, a Il Sole 24Ore, a Salvatore Primiceri e (sopratutto) a chi ha avuto od avrà la voglia di leggere il nostro libro!!!!

lunedì 26 ottobre 2015

Il permesso di costruire in caso di strutture temporanee all'aperto …. (la legislazionetecnica.it)

Con la Sentenza del 24/07/2015, n. 189, la Corte Cost., su ricorso promosso dalla Regione Veneto, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 41, comma 4, del D.L. 69/2013 (Decreto del Fare), che modificando l’art. 3, comma 1, lettera e.5) del D.P.R. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia) considerava tra gli “interventi di nuova costruzione” anche l’installazione di manufatti leggeri, prefabbricati e ogni altra struttura che non fosse diretta a soddisfare esigenze meramente temporanee ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti”.
La Regione Veneto ha impugnato l’art. 41, comma 4, del D.L. 69/2013 in quanto, novellando l’art. 3, comma 1, lettera e.5) del D.P.R. 380/2001, ha ricompreso tra gli interventi di nuova costruzione, quindi soggetti al permesso di costruire, “l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere…” “…ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all'interno di strutture ricettive all'aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti”. Ciò sarebbe in contrasto con l’art. 117, commi 3 e 4, Cost., in quanto sottrarrebbe illegittimamente tali interventi alla competenza delle Regioni, in specie in materia di turismo.
Nello specifico bisogna considerare che la norma impugnata, è stata successivamente modificata dall’art. 10-ter del D.L. 47/2014 (Piano Casa Renzi) che ha sostituito la parola “ancorché” con le parole “e salvo che”, escludendo quindi dagli interventi di nuova costruzione, per i quali è richiesto il permesso di costruire, i richiamati manufatti leggeri che siano installati con temporaneo ancoraggio al suolo e posti all’interno di strutture ricettive all’aperto.
Con l’introduzione di tale modifica, che ha sovvertito integralmente il senso della norma impugnata, è stata ripristinata la competenza legislativa regionale per detti interventi.
Nonostante ciò la Corte Cost. ha ritenuto comunque fondata la questione di incostituzionalità sollevata dalla Regione Veneto, in quanto la precedente previsione contenuta nel disposto dell’art. 41, comma 4, D.L. 69/2013 è rimasta in vigore dal 22/06/2013 al 27/05/2014, mesi durante i quali tale disposizione ha trovato applicazione.

I giudici della Corte Cost. hanno quindi spiegato che non occorre il permesso di costruire quando si è in presenza dei seguenti due requisiti:
  • precarietà dell’intervento, determinata in base alle tipologie di materiali utilizzati;
  • precarietà funzionale, caratterizzata dalla temporaneità del manufatto da realizzare o installare.
In conclusione, l’illegittimità costituzionale dichiarata dalla Corte con la Sentenza del 24/07/2015, n. 189 colpisce unicamente il testo vigente nel periodo intercorso tra il 22/06/2013 (data di entrata in vigore del D.L. 69/2013) ed il 27/05/2014 (giorno precedente alla data di entrata in vigore della L. 80/2014, di conversione del D.L. 47/2014). Durante tale periodo, l’art. 3, comma 1, lettera e.5) del D.L. 380/2001, va di conseguenza letto nel testo precedente alla modifica apportata dal D.L. 69/2013 e perciò come segue: “e.5) l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee”.

Fonte Legislazione Tecnica
http://www.legislazionetecnica.it/1985592/prd/news-giurisprudenza/il-permesso-costruire-caso-installazione-strutture-temporanee-all%E2%80%99ap

sabato 24 ottobre 2015

Dopo la riforma del condominio si può ancora parlare di mala gestio dell’amministratore? Fonte: www.StudioCataldi.it

Riportiamo un interessate approfondimento dal sito Studiocataldi.it:

L’amministratore di condominio, per come desumibile anche dal novellato art. 1130 c.c., è l’organo di gestione e di rappresentanza del condominio. 
Lo stesso, in virtù di apposito contratto, si obbliga a compiere uno o più atti giuridici nell'interesse di un altro soggetto, pertanto, la sua figura è riconducibile a quella del mandatario con rappresentanza e ciò anche in virtù dell’esplicito richiamo dell’art. 1129 c.c. il quale, tra l’altro, prevede che per tutto quanto non espressamente disciplinato, all’amministratore di condominio si applicano le norme sul mandato (artt. 1703-1741). 
Nel caso di specie, quindi, l’amministratore di condominio assumerà le vesti del mandatario e agirà nell'interesse di altri soggetti, i condomini, che tecnicamente risultano essere i mandanti. 
Inquadrata giuridicamente la figura dell’amministratore di condominio, evidenziamo subito come, con la legge 220/2012 di riforma del condominio, il legislatore abbia voluto disciplinare in maniera più puntuale - facendo tesoro per lo più dei precedenti giurisprudenziali in materia - i casi di revoca dell’amministratore, enucleando vieppiù le ipotesi di gravi irregolarità che possono portare alla revoca dello stesso. 
Infatti, il nuovo art. 1129 c.c., all’undicesimo comma, delinea i casi in cui l’amministratore può essere revocato.
In primo luogo può essere revocato, ed è l’ipotesi che definiremmo non contenziosa, per volontà dell’assemblea, in qualsiasi momento e con le maggioranze previste per la sua nomina.
In altri termini: quando viene meno l’apprezzamento da parte dei condòmini.
Quelle successive risultano invece ipotesi giudiziali, in quanto prevedono l’intervento dell’autorità giudiziaria, tant’è vero che, è previsto il ricorso al Tribunale da parte di ciascun condomino, allorquando l’amministratore non comunica all’assemblea i provvedimenti dell’autorità amministrativa o citazioni che esulano dalle sue attribuzioni (art. 1131 c.c.) ovvero in caso di omessa rendicontazione o gravi irregolarità. 
Inoltre, sempre per il tramite dell’autorità giudiziaria, su ricorso di ciascun condomino, ma solo dopo convocazione dell’assemblea con esito negativo (una sorta di condizione di procedibilità), in caso siano emerse gravi irregolarità fiscali imputate all’amministratore o per la mancata apertura ed utilizzazione del conto intestato al condominio. 
L’art. 1129 c.c. specifica quali possono essere le “gravi irregolarità”, si tratta, tuttavia, di ipotesi non esaustive, ulteriori fattispecie infatti sono state individuate nel tempo dalla giurisprudenza. 
Tra queste la norma richiamata contempla: 1) l’omessa convocazione dell'assemblea per l'approvazione del rendiconto condominiale, il ripetuto rifiuto di convocare l'assemblea per la revoca e per la nomina del nuovo amministratore o negli altri casi previsti dalla legge; 2) la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari e amministrativi, nonché di deliberazioni dell'assemblea; 3) la mancata apertura ed utilizzazione del conto corrente condominiale; 4) la gestione secondo modalità che possono generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condomini; 5) l’aver acconsentito, per un credito insoddisfatto, alla cancellazione delle formalità eseguite nei registri immobiliari a tutela dei diritti del condominio; 6) qualora sia stata promossa azione giudiziaria per la riscossione delle somme dovute al condominio, l’aver omesso di curare diligentemente l'azione e la conseguente esecuzione coattiva; 7)l’inottemperanza agli obblighi di cui all’articolo 1130, numeri 6 (registro anagrafe condominiale), 7 (registro verbali assemblea; registro nomina e revoca amministratore; registro contabilità) e 9 (attestazione stato pagamenti e liti in corso); 8)l’omessa, incompleta o inesatta comunicazione dei dati di cui al secondo comma del presente articolo (dati anagrafici e professionali, codice fiscale - se si tratta di società anche la sede legale e la denominazione - il locale dove si trovano i registri, i giorni e le ore di presa visione e rilascio documenti). 
Ad avviso di chi scrive, tuttavia, ci troviamo dinnanzi ad una tipica norma a fattispecie aperta che, appunto, non esaurisce tutte le possibili ipotesi di gravi irregolarità, ed è in tal senso che appare pienamente operante il principio della cd. mala gestio, mutuato appunto dalle norme sul mandato che, come abbiamo avuto modo di verificare, risultano applicabili anche alla figura dell’amministratore di condominio. 
Ecco che allora l’amministratore (mandatario) è tenuto ad eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia e i condòmini, di contro, quali mandanti, sono tenuti a fornire all’amministratore i mezzi necessari per la corretta esecuzione del mandato. 
Detto ciò, tra le ipotesi di mala gestio non tipizzate, rientrano senza dubbio il mancato versamento degli oneri previdenziali e assistenziali, il mancato versamento delle contribuzioni I.N.A.I.L. (Cfr.: Tribunale di Palermo, 21.01.2015), “gonfiare” le spese, omettere di presentare il modello 770. Altre fattispecie sono state individuate nella omessa ripartizione dei consumi dell’acqua e nella utilizzazione di tabelle millesimali difformi. 
Ed ancora, altre ipotesi di gravi irregolarità sono rinvenibili nel mancato conseguimento della specifica abilitazione da parte dell’amministratore, dall’omesso aggiornamento professionale (annuale) ovvero nel rifiuto di fornire la documentazione ai condòmini richiedenti. 
Infine, queste sicuramente le ipotesi più gravi, i casi di appropriazione e distrazione di denaro di pertinenza del condominio ovvero incassare “bustarelle” dai fornitori che, di contro, per recuperare gli esborsi aggiuntivi, potrebbero artatamente aumentare gli importi delle fatture, con costi che, a quel punto, risulterebbero fuori mercato. 
Ipotesi, quest’ultime, per le quali risulta configurabile anche una responsabilità penale a carico dell’amministratore di condominio. 
Da ricordare, infine, che: “A seguito dell'entrata in vigore della riforma del condominio la presenza di "gravi irregolarità" da parte dell'amministratore di condominio comporta la immediata revoca di quest'ultimo. Ciò, nonostante, nella fattispecie, lo stesso amministratore si fosse poi repentinamente reso disponibile a rimediare all'errore commesso poiché la sua condotta, ha comportato, a detta del collegio, una "inescusabile superficialità" (Trib. Trento Ordinanza, 05/06/2014). 
Pertanto, anche il successivo “ravvedimento” dello stesso non lo salverebbe dalla revoca giudiziaria.
Da un punto di vista civilistico, in caso di gravi irregolarità, l’amministratore dello stabile può essere anche chiamato a rispondere degli eventuali danni provocati al condominio.
Ecco che allora: 
- “In tema di condominio, la mancata disponibilità della documentazione contabile in sede di approvazione del consuntivo da parte dei condomini comporta la violazione, da parte dell'amministratore, del dovere di diligenza ex art. 1710 c.c. nella gestione contabile e dell'obbligo di fornire un chiaro rendiconto del proprio operato, con la conseguente invalidità della delibera di approvazione e condanna dell’amministratore al risarcimento del danno prodotto dalla sua negligente attività” (Trib. Monza Sez. IV, 26/11/2007); 
- “L’amministratore del condominio configura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra l’amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato, tale che alla scadenza del mandato l’amministratore è tenuto a restituire, ex art. 1713 c.c., ciò che ha ricevuto nell’esercizio del mandato stesso per conto del condominio, ivi compresi i documenti concernenti la gestione dello stesso. (Nella specie, in particolare, l’ex amministratore condominiale è tenuto anche al risarcimento del danno consistente nelle spese legali sostenute in procedimenti stragiudiziali volti a comporre vertenze con fornitori che avanzavano ritardi nei pagamenti, ritardi da imputarsi alla mancanza della necessaria documentazione poiché nella disponibilità dello stesso che rifiutava di consegnarla” (Trib. Genova Sez. III, 03/07/2007); 
- L'amministratore non più confermato ha l'onere, ex art. 1713 c.c., di rendere il conto della sua gestione e di consegnare al condominio tutti i documenti e i libri riguardanti la gestione del condominio. Se l'amministratore non ottempera a tale obbligo, deve essere condannato non solo alla consegna di tale documentazione, ma anche al risarcimento del danno causato al condominio e costituito in quei costi necessari a ricostruire le posizioni contabili interne e verso terzi fornitori. Tale danno non è sempre facilmente documentabile e potrà essere liquidato equitativamente” (Trib. Padova Sez. I, 14/06/2003). 
Avv. Paolo Accoti



(www.StudioCataldi.it) 

mercoledì 21 ottobre 2015

Quando l'attore avanza una domanda soggetta a MEDIAZIONE (diritti reali) e altra no (risarcimento danni) - Trib. Verona ord. 25.6.2015 (Giud. Massimo VACCARI) Fonte: (www.StudioCataldi.it)

Nello sciogliere la riserva assunta all'udienza il Giudice Istruttore
Massimo Vaccari della Sez. III del Tribunale Civile di Verona esprime delle considerazioni che LIA Law In Action Vi invita a ponderare per le ricadute di ordine pratico che da queste scaturiscono.
L'ordinanza scaligera è del 25 giugno 2015.

Il caso - In data 11 marzo 2015 viene notificato atto di citazione per sentire condannare il convenuto:
A) al ripristino dello status quo ante (la situazione esistente prima di un determinato evento) di un'area della corte comune, in origine destinata a giardino (diritto di comunione), che il convenuto ha trasformato in parcheggio.
B) al risarcimento del danno non patrimoniale, da determinarsi in corso di causa (indeterminato nel quantum debeatur), vertendosi quindi in tema di danno alla salute e non di lesione della componente non patrimoniale del diritto reale.
Gli attori lamentano, pertanto, che, per effetto della suddetta condotta, si sarebbe determinato un cambiamento delle loro abitudini di vita.

La soluzione - La prima delle domande è assoggetta a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1 bis del Decreto Legislativo n. 28 del 2010.
La seconda no.
Essendo indeterminata nel quantum non sarebbe nemmeno soggetta a negoziazione assistita obbligatoria, chiosa il Giudice Vaccari nello stilare l'ordinanza.
Allora "alla luce delle superiori considerazioni la domanda risarcitoria andrebbe separata da quella fondantesi sul diritto di comunione per consentire lo svolgimento del procedimento di mediazione su quest'ultima".
Senonché, continua l'Estensore, "tale soluzione rischierebbe di compromettere ab origine la prospettiva conciliativa poiché le parti si troverebbero a trattare" di una componente soltanto della complessiva vertenza esistente tra di loro.
Conclusione: viene demandata alla mediazione anche la controversia attinente il danno non patrimoniale vantato dagli attori.
Il Giudice Monocratico ha fissato l'udienza in novembre 2015 per il prosieguo con termine di giorni quindici dalla comunicazione dell'ordinanza per la presentazione dell'istanza di mediazione avuto riguardo alla controversia sul diritto di comunione.



(www.StudioCataldi.it) 

martedì 20 ottobre 2015

Bed & breakfast: il condominio non può vietarlo (estratto da www.laleggepertutti.it)

Se vuoi fare del tuo appartamento un bed & brekfast non hai bisogno di chiedere autorizzazioni al condominio: l’assemblea, infatti, non si può opporre all’apertura di un’attività commerciale dentro la tua proprietà, né al fatto che i tuoi clienti utilizzino le scale, l’ascensore o qualsiasi altra parte comune dell’edificio.
Quindi, qualora il condominio sia dotato di spazi ricreativi, come spiazzi, aiuole, panchine, campi da tennis, gli avventori potranno usufruirne. Non è tutto. Se anche il regolamento, approvato da tutti i condomini, prevede l’esplicito divieto di dare agli immobili destinazioni d’uso diverse da quella abitativa, deve essere interpretato nel senso che l’attività di B&B va consentita: il bed & breakfast, infatti, implica una fruizione comunque di carattere “para-familiare” dei locali, anche quando sono gestiti da un’impresa commerciale. 
A ripeterlo è ormai da diversi anni la giurisprudenza e, da ultimo, il Tribunale di Verona. Il regolamento di condominio non può vietare i B&B La pronuncia in commento ha annullato una decisione dall’assemblea con cui era stato dichiarato off-limits l’utilizzo degli spazi aperti del complesso edilizio come piscine e campetti sportivi ai clienti della struttura ricettiva. Il divieto era stato giustificato dalla presenza, nel regolamento, della seguente clausola: “È vietato destinare gli alloggi ad uso laboratorio, scuole, circoli, depositi merci ed a qualsiasi attività rivolta ad impresa, comunque ad uso diverso dall’abitazione e/o diverso da quello previsto nel piano regolatore del Comune”. Ma, a ben vedere, la attività vietate sono tutte utilizzazioni non abitative dell’immobile, mentre il bed & breakfast non altera la destinazione d’uso dell’appartamento. 


Quindi, l’unico modo per il regolamento di condominio di vietare l’apertura del B&B è che: – il divieto sia espresso e categorico, riferendosi proprio ai bed & breakfast, e non genericamente a qualsiasi tipo di attività commerciale; – il regolamento sia stato approvato all’unanimità dei condomini. Il bed and breakfast è attività para-familiare Anche se, almeno nell’immaginario collettivo, il B&B è un albergo a basso costo, in verità tale attività ha carattere “sobrio e inderogabilmente breve”, similmente con quanto accade con qualsiasi tipo di servizio di “affitta-camere”. Peraltro la gestione degli ospiti è svolta nella maggioranza dei casi alla presenza del proprietario in loco. Per cui ben si può parlare di attività “para-familiare”, a prescindere dal fatto che la gestione del denaro sia poi lasciata non alla persona visita ma ad una azienda vera e propria con tanto di partita IVA e iscrizione alla Camera di commercio. La Cassazione A sdoganare i B&B all’interno dei condomini è anche la Cassazione [2]: aprire un bed and breakfast all’interno di un edificio residenziale non può essere soggetto ad alcuna restrizione. Ogni proprietario di appartamenti è libero di affittare a ore o a giorni il proprio immobile, una o più camere, a una o più persone. Tale attività – ricorda la Suprema Corte – non costituisce un mutamento della destinazione d’uso e l’immobile può rimanere accatastato come “civile abitazione”. Peraltro tale business non va in conflitto né danneggia gli altri proprietari che vivono nello stesso palazzo.

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venerdì 16 ottobre 2015

Il compenso dell'amministratore e l'importanza dei patti raggiunti con l'assemblea Fonte http://www.condominioweb.com/un-breve-ma-importante-chiarimento-sul-compenso-dellamministratore.12132#ixzz3o4dTNOJx www.condominioweb.com

La legge n. 220/2012 ha introdotto una semplice norma il cui intento è quello di rendere ancor più trasparenti i rapporti tra amministratore e compagine.
Il riferimento è all'art. 1129, quattordicesimo comma, c.c. che recita: “l'amministratore, all'atto dell'accettazione della nomina e del suo rinnovo, deve specificare analiticamente, a pena di nullità della nomina stessa, l'importo dovuto a titolo di compenso per l'attività svolta”.
Patti chiari, si direbbe usando un vecchio slogan bancario. Insomma all'inizio del mandato, l'amministratore dovrà dire all'assemblea il costo per l'espletamento del medesimo; non dovesse farlo la nomina sarebbe nulla e il rischio di “non beccare un euro” da quel condominio molto alto.
D'altra parte non è raro il caso di amministratori che, in passato, hanno presentato preventivi di gestione molto bassi, infarcendoli, poi, di spese straordinarie al momento dell'approvazione del rendiconto.
A dire il vero già prima dell'entrata in vigore della legge 220, la Cassazione aveva avuto modo di esprimersi su questa pratica: bocciandola.
Siccome le cause condominiali sono tante ed i tempi della giustizia … (meglio stendere un velo pietoso!), si segnalano sentenze in materia di compenso dell'amministratore riguardanti la vecchia disciplina anche dopo il 18 giugno, ossia successive all'entrata in vigore della riforma.
Nel settembre 2013, ed in conformità a quanto già detto in passato, la Corte di Cassazione ha ribadito che “in tema di condominio, l'attività dell'amministratore, connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti istituzionali deve ritenersi compresa, quanto al suo compenso, nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell'incarico per tutta l'attività amministrativa di durata annuale e non deve, pertanto, essere retribuita a parte (Cass. n. 3596/2003; n. 122047210)” (Cass. 30 settembre 2013 n. 22313).
E se l'amministratore presenta un preventivo di gestione per un compenso pari a 100 ed alla fine dell'anno richiede 150 oltre al rimborso delle spese?
Sempre nella stessa sentenza si legge che quando è stabilito un compenso forfettario a favore dell'amministratore, spetta all'assise il compito generale di valutare l'opportunità delle spese da esso sostenute e quindi il mandatario “non può esigere neppure il rimborso di spese da lui anticipate non potendo il relativo credito considerarsi liquido ed esigibile senza un preventivo controllo da parte dell'assemblea (Cass. n. 14197/2011)” (Cass. 30 settembre 2013 n. 22313).
Come dire: hai chiesto 100? E 100 ti spetta, a meno che l'assemblea non ti riconosca di più. E se l'amministratore è ostinato nel proprio intento? Se si tratta di anticipazioni può far causa per vedersi riconosciuto il diritto al rimborso, ma se si tratta di compensi extra, inutile tentate la giurisprudenza ed ora la legge parlano chiaro: si deve dire subito qual è il guadagno e se si vuole un'extra e questo non è riconosciuto dall'assemblea meglio “mettersi l'anima in pace”.




www.condominioweb.com 

mercoledì 14 ottobre 2015

Distinzione tra restauro e risanamento conservativo e la ristrutturazione edilizia (fonte Legislazione Tecnica)

È la conservazione formale e funzionale dell'organismo edilizio che connota le attività di restauro e risanamento conservativo rispetto alla ristrutturazione edilizia. È questo il principio espresso nella sentenza del Consiglio di Stato n. 3505 del 14/07/2015.
Il Collegio rileva che per quanto riguarda il restauro e il risanamento conservativo, di cui all’art. 3, comma 1, lett. c) del D.P.R. n. 380 del 2001, si tratta di un’attività rivolta “ … a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali (di esso) …, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili …”. E poiché il restauro ed il risanamento implicano anche “ … il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso …”, l'eliminazione di elementi o estranei, o deteriorati di tale organismo preesistente non consente di fare confusione con la ristrutturazione edilizia. Infatti, osserva Palazzo Spada, “quest’ultima si configura nel rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio e nell'alterazione dell'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile, incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e risanamento, che invece presuppongono la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell'edificio (nella sua lata accezione di componenti strutturali originali o meramente riproduttivi) e la distribuzione interna della sua superficie”.
Il Collegio conclude il confronto tra gli istituti ribadendo come “il restauro ed il risanamento conservativo, fin dall’art. 31 della l. 5 agosto 1978 n. 457, consiste in quell’insieme sistematico di opere anche sulla struttura (compresi il consolidamento, il ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio) che rispettino gli elementi fondamentali dell’organismo edilizio e ne assicurino le destinazioni d’uso compatibili con questi ultimi. Sicché la differenza tra essi e la ristrutturazione edilizia risiede essenzialmente nella conservazione formale e funzionale dell’organismo edilizio, che connota i primi rispetto alla seconda”.
Nel caso di specie, ad avviso dei giudici amministrativi, non è possibile classificare l’intervento progettato come ristrutturazione edilizia “perché nel progetto manca, per com’è redatto, quell’effetto di definitiva ed irreversibile trasformazione dei manufatti originari in altri di diverse natura e funzione d’uso”.
http://www.legislazionetecnica.it/2145282/prd/news-giurisprudenza/restauro-e-risanamento-conservativo-le-differenze-la-ristrutturazion

lunedì 12 ottobre 2015

Distanze minime edifici: i lucernari (di tipo velux) sono luci o vedute? (fonte www.ediliziaurbanistica.it)


Il Consiglio di Stato chiarisce un tema rilevante: le norme sulle distanze tra edifici ex art. 9 d.m. 1444/1968 non si applicano ai lucernari

I giudici del Consiglio di Stato in una recentissima sentenza (sez. IV, n. 4628 del 5 ottobre 2015) hanno analizzato e chiarito una norma del decreto ministeriale 1444/1968 in materia di distanza minima tra edifici.

La norma in questione è rappresentata dall'art. 9, che fissa la distanza minima che deve intercorrere tra "pareti finestrate e pareti di edifici antistanti". Ed è proprio sullo specifico concetto rappresentato dalla dicitura "pareti finestrate" che i giudici si sono soffermati: sotto il profilo formale, infatti, la definizione fa espresso ed esclusivo riferimento alle pareti finestrate, per tali dovendosi intendere, secondo l'univoco e costante insegnamento della giurisprudenza, unicamente "le pareti munite di finestre qualificabili come vedute, senza ricomprendere quelle sulle quali si aprono semplici luci” (in questo senso esiste una folta giurisprudenza).

Conseguentemente, la norma non risulterebbe applicabile nel caso di presenza di un lucernario di tipo velux posto su un tetto di un edificio da cui i proprietari dello stesso prendono luce ed aria: i velux, infatti, non possono di certo considerarsi "vedute", come afferma l'art. 900 del codice civile (recante rubrica "Specie di finestre" e recante l'affermazione "vedute o prospetti(…) permettono di affacciarsi e di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente").

In questo senso i velux non consentono né di affacciarsi sul fondo del vicino né di guardare di fronte, obliquamente o lateralmente, configurandosi come semplici luci, consentendo il solo passaggio dell'aria e della luce.


Link all'articolo:
http://www.ediliziaurbanistica.it/pf/testo-news/47719/Distanze-minime-edifici-i-lucernari-di-tipo-velux-sono-luci-o-vedute

sabato 10 ottobre 2015

L’usucapione e la mediazione: trascrivibilità del verbale di mediazione senza necessità di adire il giudice Fonte: (www.StudioCataldi.it)

Spesso le ADR[1] risultano frustranti e si traducono in un inane appesantimento della procedura; in materia di usucapione, invece, la mediazione rappresenta un utile strumento per raggiungere il risultato prefisso in tempi brevissimi. Infatti, mentre per l’accertamento dell’intervenuta usucapione, con una causa ordinaria, le tempistiche variano da uno a due anni, con il percorso mediativo si può raggiungere il risultato finale in pochi mesi; inoltre le spese sono proporzionali al valore del bene usucapito ed esenti dall’imposta di registro (entro un certo limite).
Da un punto di vista meramente pratico, quindi, i vantaggi sono indubbi. Veniamo ora all’analisi del profilo giuridico.
Il legislatore, con il cosiddetto “decreto del fare”, ha inserito nell’art. 2643 c.c. il comma 12 bis[2]. La ragione è da ricercarsi nella circostanza per cui la disciplina della mediazione (art. 11 del d. lgs. 28/2010) ammette la trascrizione degli accordi che hanno ad oggetto gli atti indicati dall’art. 2643 c.c. ma, ab origine, nella norma, non si faceva cenno all’usucapione onde l’inserimento del comma in commento. 
In particolare, l’art. 2643 c. 12 bis c.c. prevede che si debbano rendere pubblici a mezzo di trascrizione: «gli accordi di mediazione che accertano l’usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato».

Secondo la norma, dunque, il verbale di mediazione, purché autenticato da un notaio, costituisce titolo idoneo a trascrivere il trasferimento dell’immobile e ad accertare l’acquisto della proprietà in capo alla parte che ha azionato il percorso mediativo.
La dottrina più attenta ha sottolineato come l’usucapione non possa nascere da un accordo negoziale tra le parti o da un atto volitivo; l’accordo di mediazione, pertanto, si limita a riconoscere l’esistenza dei fatti che ne costituiscono il presupposto. Le parti, infatti, non possono creare con un atto di volontà un effetto giuridico che discende solo dalla legge. 
Il negozio di accertamento secondo alcuni autori è una dichiarazione di scienza; secondo altri, invece, ha natura negoziale. In ogni caso, si tratta di un istituto di secondo grado che presuppone la preesistenza dei fatti di cui si realizza l’accertamento. Il negozio di accertamento non può produrre effetti traslativi e quindi non può trasferire la proprietà di un bene. Esso si limita ad accertare i presupposti che la legge pone a fondamento dell’istituto dell’usucapione.
Com’è noto, tali presupposti si sostanziano nel decorso del tempo, nel possesso continuo e non interrotto, non violento né clandestino e, nel caso di usucapio brevis, nell’acquisto in buona fede ed in un titolo astrattamente idoneo a trasferire il bene. 
Il negozio di accertamento concluso tra le parti non va confuso con la transazione[3]; quest’ultima è un contratto in cui i contraenti si fanno reciproche concessioni per porre fine ad una controversia; il primo, invece, ha come scopo precipuo eliminare le incertezze in merito ad una determinata situazione.

La trascrizione ai sensi dell’art. 2651 c.c. (sentenza accertativa di usucapione[4]) ha efficacia erga omnes e fa nascere in capo al soggetto un diritto nuovo che travolge i diritti dei terzi. 
Emergono, invece, dei dubbi in merito all’efficacia della trascrizione ex art. 2643 c. 12 bis c.c., in quanto l’accordo mediativo ha efficacia inter partes, vale a dire tra i soggetti che hanno partecipato alla mediazione e non già erga omnes
In tal senso depone anche la circostanza che il comma 12 bis sia stato inserito nella norma dedicata agli acquisti a titolo derivativo (art. 2643 c.c.) e non già nell’art. 2651 c.c. che, invece, si occupa degli atti a titolo originario[5]. Inoltre, all’art. 2643 si applicano le disposizioni degli artt. 2644 e 2650 c.c., relativi agli acquisti derivativo-traslativi: si tratta di norme che regolano i conflitti tra più aventi causa dallo stesso dante causa[6].Ma essendo l’usucapione un modo di acquisto della proprietà a titolo originario il suo inserimento nell’art. 2643 c.c. , tra gli atti a titolo derivativo, solleva non poche perplessità. Considerata la sedes materiaein cui è collocata la disposizione sulla trascrizione dell’accordo accertativo dell’usucapione, ci si domanda quale sia la natura giuridica dell’usucapione non accertata giudizialmente: acquisto a titolo originario, derivativo o un tertium genus?

Ancora una volta la frettolosità del legislatore ha determinato problematiche ermeneutiche di non poco conto e che non possono essere trascurate. Mentre lo scopo perseguito è condivisibile, vale a dire velocizzare l’accertamento dell’usucapione bypassando il tribunale, la collocazione della norma tra gli acquisti a titolo derivativo rischia di rendere l’usucapione accertata in sede di mediazione un minus rispetto a quella accertata giudizialmente, in quanto la trascrizione avverrà a favore dell’usucapiente e contro l’usucapito fondandosi sui titoli di quest’ultimo e lasciando impregiudicati i diritti dei terzi, proprio come se si trattasse di una vicenda derivativo-traslativa.

Note:

[1] ADR: alternative dispute resolution, si tratta di mezzi alternativi di risoluzione delle controversie, quali la mediazione, la negoziazione assistita e la conciliazione.
[2] Il comma 12 bis è stato introdotto dall’art. 84 bis del d.l. 21 giugno 2013 n. 69 convertito in legge 9 agosto 2013 n. 98
[3] Art. 2643 c. 13 c.c. trascrizione delle transazioni aventi ad oggetto le controversie relative ai diritti elencati nell’art. 2643 c.c.
[4] La norma riguarda anche la sentenza accertativa dell’intervenuta prescrizione.
[5] Come la trascrizione della sentenza dichiarativa della prescrizione e dell’usucapione
[6] In particolare l’art. 2650 c.c. contiene il principio della continuità delle trascrizioni: non ha effetto la trascrizione di un atto di acquisto se non è trascritto il titolo anteriore. L’art. 2644 c.c. contempla il principio della priorità delle trascrizioni: prevale il soggetto che trascrive prima; inoltre, un atto trascritto non ha effetto nei confronti dei terzi che abbiano acquistato diritti in base ad un atto precedentemente trascritto.




(www.StudioCataldi.it) 

mercoledì 7 ottobre 2015

Sentenze/ Funzioni e responsabilità del CTU (fonte: http://www.thelegaljournal.eu/legal-news/sentenze-funzioni-e-responsabilita-del-ctu/)

In una recente sentenza (n. 1813 del 18/09/15,Pres. M. Chiarini, Est. A Scrima), la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sulla responsabilità civile per fatto illecito dell’esperto estimatore dei beni pignorati.

La Corte ha statuito sull’esclusiva responsabilità del CTU (Consulente Tecnico d’Ufficio) per colpa in caso di fatto illecito, escludendo che vi fosse una corresponsabilità per i danni provocati a carico del Ministero della Giustizia.
La sentenza perveniva a tali conclusioni facendo riferimento all’art. 64 c.p.c. Nell’esame del caso, i Giudici hanno sottolineato che il CTU svolge, nell’ambito del processo, “una pubblica funzione quale ausiliare del giudice, nell’interesse generale e superiore delle giustizia”.
Nell’esercitare tale funzione, il Consulente Tecnico d’Ufficio, opera “con una responsabilità oltre che penale e disciplinare, anche civile”. A fronte di tale responsabilità, il CTU ha “l’obbligo di risarcire il danno che abbia cagionato in violazione dei doveri connessi all’ufficio” (Cass. 25/05/1973, n. 1545; Cass. 21/10/1992, n. 11474).
La Corte, richiamando i propri precedenti, ha precisato che il CTU “non esercita funzioni giudiziarie in senso tipico” (Cass. 08/05/20008, n. 11229; Cass. 05/08/2010, n. 18170). Per quanto all’atto di nomina dell’esperto per la stima del bene pignorato di cui all’art. 568 c.p.c., la Cassazione lo ritiene “atto preparatorio e non di esecuzione” (Cass. 21/05/1962, n. 1161 e Cass. 02/05/1975, n. 1691).
A questo, i giudici hanno aggiunto, in tema di responsabilità, che pur essendo tale nomina facoltativa, questo “non rileva ai fini della responsabilità anche civile del predetto ausiliare una volta che il G.E. abbia proceduto a tale nomina e il nominato abbia assunto l’incarico”.
Nessun dubbio, sostengono i giudici, che “tale esperto sia equiparabile al CTU (arg. ex Cass. 03/08/2001, n. 10670) e sia, pertanto, soggetto al regime di responsabilità per lo stesso previsto dall’art. 64 c.p.c.”.
http://www.thelegaljournal.eu/legal-news/sentenze-funzioni-e-responsabilita-del-ctu/

martedì 6 ottobre 2015

Condominio: legittima la nomina di un "caposcala", quale aiutante dell'amministratore (Fonte:www.StudioCataldi.it)

Alcune attività inerenti la gestione e la conservazione delle parti comuni di un condominio possono essere eseguite anche da un "caposcala" nominato dall’amministratore.
Secondo quanto stabilito dalla sentenza n. 163/2015 della Corte di Appello di Lecce, infatti, l’amministratore non deve necessariamente svolgere tutte le attività affidategli da solo, ma può anche avvalersi dell’aiuto di soggetti terzi.
In sostanza, il suo ruolo è assimilabile a quello conferito attraverso un mandato con rappresentanza e ad esso, in conseguenza, si applicano tutte le norme civilistiche sul mandato.
L’aiutante nominato dall’amministratore al fine di delegargli alcune delle sue attività è, in quindi, riconducibile alla figura del sostituto del mandatario.
In ogni caso, la responsabilità per le azioni compiute da quest’ultimo ricade esclusivamente in capo al soggetto che lo ha nominato.
Egli può anche essere designato direttamente dall’assemblea o previsto dal regolamento e le sue funzioni possono essere non solo di assistenza dell’amministratore ma anche di controllo del suo operato: in tal caso, la figura alla quale il caposcala può essere assimilato è quella del consiglio dei condomini.
Con la pronuncia in commento, quindi, la Corte di Appello ha respinto il ricorso dei condomini avverso la designazione da parte dell’amministratore di un caposcala addetto alla riscossione delle quote condominiali e dei pagamenti inerenti i consumi d’acqua: la nomina di un amministratore con le maggioranze previste dall’articolo 1136 del codice civile lo rende, infatti, legale rappresentante verso l’esterno dei condomini, in grado di gestire e conservare le parti comuni di un edificio sia autonomamente che attraverso l’ausilio di soggetti terzi




(www.StudioCataldi.it) 

lunedì 5 ottobre 2015

Assemblea condominiale e interpretazione del regolamento (da condominioweb.com)

L'assemblea condominiale è l'organo deputato all'interpretazione del regolamento di condominio per il caso di incertezze sulla sua applicazione.
Che cosa accade se alcuni condòmini non si trovano d'accordo con la soluzione approntata e deliberata in riunione?
Quali sono i limiti di sindacato dell'Autorità Giudiziaria in merito a tale problematica?
Proviamo a spiegare meglio la problematica con l'ausilio di un esempio.
Si supponga che una clausola di un regolamento reciti: “nel caso di violazioni delle norme del regolamento condominiale inerenti l'uso del cortile comune, l'assemblea può irrogare al trasgressore una sanzione pari ad € 100,00. Per l'irrogazione della sanzione l'amministratore deve convocare l'assemblea alla prima occasione utile dopo la violazione”.
Come intendere esattamente la locuzione “alla prima occasione utile”? Deve intendersi che l'amministratore deve convocare l'assemblea non appena gli è possibile oppure che la riunione dev'essere convocata quando ne ricorra l'occasione, ad esempio in concomitanza della discussione su altre questioni. La diatriba non è di poco conto, specie nel caso di continue violazioni regolamentari da parte di uno o più condòmini.
Al riguardo è utile volgere lo sguardo ad una datata, ma pur sempre attuale, pronuncia resa dalla Suprema Corte di Cassazione in materia di interpretazione del regolamento condominiale.
Correva l'anno 1975 quando i giudici del Palazzaccio ebbero modo di affermare che “compete all'assemblea condominiale procedere a interpretazione del regolamento di condominio, correttiva di altra precedentemente adottata; essa può essere censurata solo quando la diversa interpretazione non sia giuridicamente corretta, sia in relazione ai principi di ermeneutica che avrebbero dovuto essere osservati per identificare l'esatta portata dei criteri stabiliti nel regolamento, sia in relazione ai risultati che siano derivati dalla loro concreta applicazione, in quanto non consentiti da norme legislative inderogabili” (Cass. n. 3936 del 25 novembre 1975).
Come dire: che cosa stiano a significare le clausole del regolamento lo può dire l'assemblea con una sorta d'interpretazione autentica e per farlo deve seguire le regole dettate dal codice civile in materia d'interpretazione dei contratti.
La regola principe, ad esempio, prevede che sia necessario valutare sempre l'intenzione delle parti senza limitarsi al senso delle parole. Come dire, tornado all'esempio di cui sopra: per capire che cosa s'intendesse dire con “alla prima occasione utile” bisogna fare riferimento al momento della formazione del regolamento (ed alle eventuali delibere di discussione) per comprenderne la ratio com'anche alle modalità applicative nel corso del tempo (cfr. artt. 1362-1371 c.c.).
Qualora uno dei condòmini ritenesse l'interpretazione fornita dall'assemblea contraria al vero senso della clausola oggetto dell'attenzione, egli potrebbe impugnare quella delibera per chiederne l'invalidazione.
Si badi: l'impugnativa non potrebbe mai avere come effetto quello di sostituire l'interpretazione assembleare con quella giudiziale, ma solamente la possibilità di accertare se il modus operandi dell'assemblea sia stato corretto rispetto ai canoni interpretativi legislativi.
Insomma: ad una dichiarazione d'illegittimità della delibera interpretativa non corrisponde la sostituzione di essa con una imposta dal giudice, ma la necessità di rimettersi nuovamente a lavoro per fornire una nuova interpretazione.




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giovedì 1 ottobre 2015

Condomino moroso: breve focus sulla possibilità di sospensione delle forniture Fonte: (www.StudioCataldi.it)

La norma di riferimento in caso di morosità dei condòmini è l’art. 63 Disposizioni per l’Attuazione del Codice Civile, il quale stabilisce come:


“I. Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore, senza bisogno di autorizzazione di questa, può ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante opposizione, ed è tenuto a comunicare ai creditori non ancora soddisfatti che lo interpellino i dati dei condomini morosi.

II. I creditori non possono agire nei confronti degli obbligati in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri condomini.

III. In caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, l'amministratore può sospendere il condomino moroso dalla fruizione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.

IV. Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente. 

V. Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto.

Per quel che interessa in questa sede, notiamo come ai sensi del III comma del menzionato articolo, l’amministratore può, in caso di mora nel pagamento dei contributi che si sia protratta per un semestre, sospendere al condomino moroso la fornitura dei servizi comuni suscettibili di godimento separato.

La norma, che già prima della riforma del 2012 prevedeva la possibilità della sospensione delle forniture (art. 63, co. III, disp. att. c.c.: “In caso di mora nel pagamento dei contributi, che si sia protratta per un semestre, l'amministratore, se il regolamento di condominio ne contiene l'autorizzazione, può sospendere al condomino moroso l'utilizzazione dei servizi comuni che sono suscettibili di godimento separato”), è stata modificata nel senso di legittimare ab initio l’amministratore al distacco delle predette forniture, non essendo più necessaria l’autorizzazione contenuta nel regolamento condominiale.

La nuova formulazione della norma, tuttavia, porta a ritenere come all’amministrazione sia concessa una semplice facoltà di sospensione, e non un obbligo, salvo non gli sia imposto dall’assemblea che può deliberare come, quando e quale fornitura sospendere, sempre che la stessa sia chiaramente suscettibile di godimento separato.

Di contrario avviso, tuttavia, sembrerebbe l’orientamento del Tribunale di Modena (ordinanza 5.06.2015), il quale in un giudizio cautelare avente ad oggetto la sospensione di una fornitura, ha ritenuto che: “atteso che il disposto normativo dell'art. 63, 3 c., disp. att. c.c. attribuisce -in via di autotutela e senza ricorrere previamente al giudice- all'amministratore condominiale il potere di sospendere al condomino moroso l'utilizzazione dei servizi comuni suscettibili di godimento separato, e, dopo la modifica normativa che ha eliminato la previsione "ove il regolamento lo consenta", l'esercizio di tale potere configura un potere-dovere dell'amministratore condominiale il cui esercizio è legittimo ove, come nel caso di specie, la sospensione sia effettuata intervenendo esclusivamente sulle parti comuni dell'impianto, senza incidere sulle parti di proprietà esclusiva del condomino moroso”.

La facoltà ovvero il potere-dovere dell’amministratore di sospendere le forniture suscettibili di godimento separato, risulta statuizione senza dubbio “forte” e particolarmente afflittiva, atteso che potrebbe comportare la sospensione di servizi definiti essenziali, quali l'erogazione dell'acqua o del riscaldamento, addirittura garantiti dall'articolo 32 della Costituzione che tutela il diritto alla salute.

In questo senso si è espresso il Tribunale di Milano, con ordinanza del 24.10.2013, che ha ritenuto come la sospensione del servizio, nello specifico, del riscaldamento, non fosse possibile in quanto bene primario costituzionalmente protetto.

Tuttavia, detta interpretazione non è stata condivisa - più di recente - dal Tribunale di Roma, ordinanza del 27 giugno 2014, e da quello di Brescia, ordinanze del 17.02.2014 e del 21.05.2014, quest’ultimo, infatti, ha ordinato al condomino moroso di consentire ai tecnici e/o all’impresa incaricati dal condominio la realizzazione della sospensione della fornitura del riscaldamento, mediante ingresso all’interno dei locali di loro proprietà e mediante interruzione dell’afflusso dell’acqua calda dalle tubazioni condominiali verso i radiatori posti all’interno dell’unità immobiliare.

Da ultimo, sulla questione è intervenuto anche il Tribunale di Modena, con la sopra richiamata ordinanza della III sezione civile, datata 5.06.2015.

Il caso sottoposto al vaglio del Tribunale emiliano, tuttavia, conteneva delle peculiarità, che è interessante verificare al fine di avere un quadro più completo ed esaustivo possibile.

Ed invero, il condomino con ricorso d’urgenza (ex art. 700 c.p.c.), chiedeva la cessazione della condotta antigiuridica consistente nell'esclusione dalla fornitura di acqua corrente della porzione di proprietà esclusiva del ricorrente stesso, e precisamente: “l'immediato ripristino dell'erogazione della fornitura d'acqua in favore del ricorrente".

Lo stesso, non disconosceva la sua morosità, ma riteneva illegittima la decisione assembleare di sospensione dell'approvvigionamento idrico nel suo appartamento del ricorrente, alla quale l'amministratore condominiale aveva dato immediato corso.

Tralasciando le questioni procedurali di cui pure il Tribunale di Modena dà conto nella sua ordinanza, lo stesso ha ritenuto di accogliere l’eccezione di carenza di legittimazione attiva in capo al condomino ricorrente, avanzata dal condominio, basata sulla circostanza per cui il condomino non risultava essere più possessore dell'immobile, né delle relative pertinenze e dei servizi relativi a tale immobile, in quanto detto immobile era stato sottoposto a pignoramento, di talché il condomino-ricorrente risultava un mero custode dell'immobile.

Il Tribunale di Modena, infatti, così statuisce: “a) è fondata l'eccezione di carenza di legittimazione attiva, in quanto il ricorrente è attualmente occupante senza titolo dell'immobile, del quale ha dapprima perso, con il pignoramento, il possesso, e poi ha perso, con la qualifica di custode, financo la detenzione semplice; b) il ricorso è affetto da infondatezza nel merito, in quanto non sussiste un oggetto di possesso, e conseguentemente dello spoglio, nella fattispecie: il "servizio di rete idrica" non può essere, di per sé, oggetto di possesso, essendo -oltre che concetto non identificato sul piano giuridico- privo di supporto materiale; lo spoglio di servitù di acquedotto non è configurabile perché, nella già indicata qualità di occupante abusivo, il ricorrente non ha il diritto di utilizzo delle acque previsto dall'art. 1033 c.c.; se invece l'oggetto del possesso viene individuato nell'acqua potabile stessa, valgono le già ricordate obiezioni illustrate dalla giurisprudenza in tema di contratto di somministrazione sull'assenza materiale di un oggetto di possesso e di spoglio, perché l'interruzione di fornitura non comporta spoglio essendo l'acqua in corso di prelievo già consumata (o accumulata), mentre non è configurabile lo spoglio per quella eroganda, che non può essere oggetto di possesso attuale, perché prima dell'apprensione vi è soltanto potenziale disponibilità del bene, realizzabile mediante la concreta utilizzazione, solo con la persistente collaborazione dell'ente erogatore e, nella specie, del condominio”.

A ben vedere, quindi, la giurisprudenza di merito non ha, al momento, assunto una posizione unitaria in merito alla possibilità di sospensione dei servizi ritenuti “essenziali”, esistendo ad oggi, una serie di pronunce diverse, alcune di segno diametralmente opposto.

Nell’attesa di un necessario intervento chiarificatore della Suprema Corte di Cassazione, visti i rilevanti interessi in gioco e la possibilità di intaccare servizi senza dubbio essenziali, a parere di chi scrive sarebbe preferibile, la tesi meno afflittiva del Tribunale di Milano, concedendo la possibilità di sospensione solo dei servizi “non essenziali”, con esclusione di quelli relativi alla fornitura di acqua e riscaldamento che, semmai, potrebbero essere interrotti solo negli immobili non destinati ad abitazione principale (quali ad esempio: doppi immobili, box, garage, cantine, ecc.).

Per completezza espositiva ricordiamo, infine, che chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente, allo stesso tempo, chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l'avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all'amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto.

Fonte: Condomino moroso: breve focus sulla possibilità di sospensione delle forniture 
(www.StudioCataldi.it)