giovedì 26 novembre 2015

GLI ACCORDI DI USUCAPIONE IN MEDIAZIONE NON SONO ASSIMILABILI ALLE SENTENZE DI ACCERTAMENTO" - Corte di Appello R.C. 12.11.2015

Riportiamo un interessante articolo di Paolo Cuzzola su mediazione ed usucapione:

"Gli accordi di conciliazione, anche se trascritti, non sono assimilabili alle sentenze di accertamento dell'usucapione, essendo inopponibili ai terzi che vantano titoli anteriormente trascritti o iscritti che in qualche modo possano essere pregiudicati dagli accordi medesimi".
E' quanto stabilito dalla Corte d'Appello di Reggio Calabria con sentenza del 12.11.2015: viene escluso, dunque, che il verbale di conciliazione in tema di usucapione (a differenza della sentenza di accertamento dell'usucapione) possa avere effetti liberatori (cd. usucapio libertatis) sul bene usucapito, non potendosi opporre ai terzi estranei all'accordo l'acquisto a titolo originario del bene e la retroattività degli effetti dell'usucapione.
Come noto, la nuova disciplina - di cui all'art. 84 bis d.l. 21 giugno 2013 n. 69, conv. in l. 9 agosto 2013 n. 98, ha modificato l'art. 2643 c.c., includendo così tra gli atti soggetti a trascrizione gli "accordi di mediazione che accertano l'usucapione con la sottoscrizione del processo verbale autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato".
Tuttavia, resta fermo che lo stesso accordo di mediazione non è assimilabile, quanto agli effetti, alla sentenza di accertamento dell'usucapione, la cui trascrizione è disciplinata dall'art. 2651 c.c..
Per consolidata dottrina, infatti, all'acquisto a titolo di usucapione accertato con sentenza (acquisto a titolo originario) non si applica il principio della continuità delle trascrizioni, sancito dall'art. 2650 c.c., e la trascrizione della relativa sentenza, ai sensi dell'art. 2651 c.c., ha valore di mera pubblicità notizia.
Contrariamente, evidenziano i giudici reggini, gli accordi conciliativi in materia di usucapione rientrano tra gli atti ed i contratti elencati nell'art. 2643 c.c., per i quali gli effetti della pubblicità sono regolati non dall'art. 2651 c.c., bensì dalle norme degli artt. 2644 c.c. e 2650 c.c., che si improntano al principio della continuità delle trascrizioni che sorregge il sistema della pubblicità con riferimento agli acquisti derivativo-traslativi.
Può concludersi, quindi, che tale verbale conciliativo attribuisce all'usucapiente un diritto che può far valere nei confronti dei terzi nei limiti dei diritti spettanti all'usucapito e nel rispetto delle regole sulla continuità delle trascrizioni, sicché, precisa la Corte "tale accordo non può in alcun modo danneggiare terzi soggetti estranei al medesimo che vantino legittimi titoli anteriormente trascritti o iscritti".
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lunedì 23 novembre 2015

Cassazione: nel regolare i confini valgono rogiti e testimonianze e poi le mappe catastali (Fonte: www.StudioCataldi.it)


Nel giudizio di regolamento di confini, che ha per oggetto l'accertamento di un confine obiettivamente e soggettivamente incerto tra due fondi, il giudice ha un ampio potere di scelta e di valutazione dei mezzi probatori acquisiti al giudizio.
In tal senso, il ricorso alle indicazioni delle mappe catastali costituisce un sistema di accertamento di carattere meramente sussidiario, al quale, cioè, si può fare riferimento solo in assenza di altri elementi idonei alla determinazione del confine.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nella sentenza n. 23682/2015 accogliendo il ricorso diun proprietario che aveva chiesto ai giudici di merito di dichiararsi l'inesistenza della servitù di passo attraverso la sua proprietà. 
Tuttavia, nei precedenti giudizi, Tribunale e Corte d'Appello stabilivano che il tratto di terreno in esame fosse, in realtà, proprietà del convenuto.
La consulenza disposta in sede di gravame aveva rilevato l'impossibilità di ricostruire in loco il frazionamento a suo tempo richiamato negli atti di provenienza ed allegato agli stessi, a causa delle intervenute modificazioni dei luoghi nell'arco di 40 anni.
Pertanto, i giudici avevano considerato maggiormente attendibili gli accertamenti peritali rispetto alle dichiarazioni testimoniali, stabilendo che quanto emerso dalle mappe catastali fosse la più vicina rappresentazione della volontà delle parti espressa in atto.
Di contrario avviso gli Ermellini, che evidenziano il carattere sussidiario delle indicazioni catastali, rendendosi necessaria da parte dei magistrati una verifica ampia che tenga conto di tutti i mezzi probatori acquisiti al processo.
Le risultanze catastali sono state privilegiate erroneamente, in quanto la relativa rappresentazione evidenziava un contrasto con quanto emerso dai frazionamenti allegati e richiamati nei rogiti di acquisto, i quali invece indicavano un'estensione dei terreni diversa.
I giudici hanno sbagliato a giustificare tale scelta affermando che non sarebbe stato possibile dare rilievo ai frazionamenti a causa della mutata situazione dei luoghi, della irreperibilità dei capisaldi a suo tempo utilizzati e della impossibilita di ricostruirli.
In aggiunta, non sono state debitamente esaminate e valutate le risultanze testimoniali che avrebbero potuto (e dovuto) integrare l'indagine dell'ausiliario nella determinazione del confine e nell'esatta estensione dei fondi.
Parola al giudice del rinvio, che dovrà adeguarsi ai principi espressi dalla Corte e procedere alle dovute verifiche.
(www.StudioCataldi.it) 


venerdì 20 novembre 2015

La società «delega» chi ha potere di gestione (da Il Sole 24Ore)

La titolarità di un immobile in un condominio può essere di una persona fisica ma anche giuridica, sia essa un ente, un’associazione, una fondazione o una società.
Nel caso in cui la proprietà di un immobile sia riferibile a una società, il potere decisionale in merito alle questioni condominiali va generalmente individuato nel soggetto dotato dei poteri di gestione e rappresentanza.
Mentre nelle società di persone il soggetto deputato a prendere le decisioni inerenti un bene sociale può essere individuato nel titolare della ditta nella società semplice, nei soci della società in nome collettivo o nei soci accomandatari nella società in accomandita semplice, nelle società di capitali detta figura va generalmente individuata nell’amministratore designato dai soci. Resta salva la facoltà del soggetto dotato dei poteri di gestione e rappresentanza di delegare tale attività a un terzo o a un altro condomino proprietario.
I beni sociali non possono essere considerati alla stregua di «una proprietà indivisa a più persone» ma un bene che ha quale unico proprietario la società e, pertanto, per gli stessi non trova applicazione il secondo comma dell’articolo 67 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile (che disciplina invece la rappresentanza per i beni in comunione) secondo cui i comproprietari hanno diritto a un solo rappresentante nell’assemblea, designato a norma dell’articolo 1106 del Codice civile.

giovedì 19 novembre 2015

Condominio: reato gettare rifiuti dal balcone (www.laleggepertutti.it)


Il condomino che butta rifiuti dal balcone, sporcando il giardino sottostante o i balconi dei vicini è colpevole del reato di “gettito di cose pericolose” previsto dal codice penale: in particolare la norma sanziona il comportamento di chi getta o versa, in un luogo pubblico o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, oppure nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti. Dunque, non è solo l’oggetto potenzialmente pericoloso a finire nel mirino della norma, ma anche tutti quegli altri oggetti o liquidi che possono sporcare la proprietà altrui o condominiale. Così, in una recente sentenza, la Cassazione ha condannato un uomo colpevole di ripetuti gettiti di spazzatura dal proprio balcone, tutti destinati a cadere sullo spiazzo condominiale. A inchiodare il responsabile dei gesti incivili sono state le fotografie di un vicino, che hanno dimostrato in quali condizioni era stato ridotto il cortiletto sottostante. La Suprema corte sottolinea che la responsabilità dell’imputato può essere basata anche sulle sole dichiarazioni della persona offesa, se queste, dopo verifiche più rigorose di quelle riservate ad altri testimoni, risultano attendibili. Così, per l’uomo, è scattata la condanna piena senza la condizionale, nonostante fosse incensurato.

Sul reato di gettito di cose pericolose si è più volte espressa, in passato, la Cassazione. In una occasione ha condannato una condomina che evidentemente teneva molto alla pulizia del suo terrazzo: peccato che, per mantenerlo lindo, gettasse i mozziconi di sigarette su quello sottostante e, non contenta, finisse l’opera con un po’ di candeggina, anche questa destinata a seguire la legge di gravità. In questi casi, quando la condotta è reiterata, può scattare anche l’aggravante.

Rientra ancora nel reato in commento il comportamento di chi innaffia le piante e fa cadere, sulle proprietà sottostanti, il fango e il terriccio conseguente allo straboccare dell’acqua dai vasi. Ed ancora di chi non presta il dovuto controllo sul proprio animale da appartamento e consente che gli escrementi o l’urina del cane o del gatto finiscano ai piani bassi.

Al contrario, resta immune da condanna chi è responsabile della pioggia di polvere e briciole conseguenti allo sbattimento dei tappeti e della tovaglia da pranzo. In proposito, secondo la Corte Suprema, il condomino che scuote tappeti o tovaglie, facendo, così, cadere briciole e polvere sulle finestre e sul terrazzo del condomino sottostante non risponde del reato di getto pericoloso di cose per impossibilità di causare, con tale condotta, imbrattamenti e molestie alle persone. Tale norma, infatti, deve essere intesa alla luce dell’interesse perseguito con l’incriminazione, che appartiene alla materia della polizia di sicurezza, concernendo la prevenzione di pericoli per una pluralità di soggetti.
La diffusione di polveri nell’atmosfera rientra nella nozione di “versamento di cose” e non in quella di “emissione di fumo” contemplata dalla seconda ipotesi, in relazione alla quale soltanto è richiesto il superamento dei limiti di legge, poiché, se il fumo è sempre prodotto della combustione, la polvere è prodotto di frantumazione e non di combustione.
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sabato 14 novembre 2015

Parigi, casa mia……….

Nessuna parola, nessuna immagine, nessun articolato discorso, può riuscire a descrivere quello che sentiamo oggi. Ancora una volta ci troviamo a vivere l'orrore di una strage che ha coinvolto gli uomini di buon senso, subendone le conseguenti paure e le naturali preoccupazioni.
E' successo a Parigi, per caso, ma non ci saremmo stupiti se fossimo stati colpiti al ventre da un attentato a Roma, a Firenze, a Venezia, a Milano o a Napoli. Avremmo solo sentito più forte l'eco del boato di un'esplosione o di un tranciante ritmo di mitraglia. Ma non sarebbe cambiato il senso di sconforto.
Sono stati colpiti giovani, ad un concerto in un teatro, a cena di venerdi sera nei ristoranti, solo per un fortuito caso non sono stati coinvolti altre centinaia di giovani appassionati di calcio….. non sappiamo se era già successo, il nostro normale senso di autodifesa ci impedisce di tenere la contabilità di chi viene ucciso e devastato dagli attentati, specialmente da quelli che si succedono vicino a noi od in ambienti a noi affini, quasi che il non pensarci serva ad esorcizzare un rischio che si fa sempre più concreto. 
Ma ci è sembrato significativo che dei tanti morti ammazzati, mutilati, straziati, la maggior parte fossero giovani. La mente malata e stravolta di chi ha pensato queste stragi, ammesso che riesca ad avere un pensiero di senso compiuto, ha inteso mandare l'inequivocabile messaggio che l'entusiasmo, la speranza, il progetto, il desiderio non hanno ragione di essere, non possono che essere soffocati dalla malvagità e dalla pazzia di chi vede nel terrore il mezzo e lo strumento per orientare la vita degli altri, disponendone grazie al terrore.
In questo momento davanti alla tv, si susseguono volti di politici e commentatori che muovono la bocca, non emettendo suoni, o per lo meno parole che riusciamo a sentire ed a capire, tanto sono vuote o inutili, sovrastate dalle immagini delle stragi di Parigi che da ieri sera riempiono le ore.
Silenzio, per favore, almeno per qualche giorno.
Siamo sconvolti.
Ma la compostezza della reazione di un giovane parigino che, davanti alla crudezza dei delitti, con ancora indosso una maglietta macchiata rosso sangue, riesce a dire che reagiremo, tutti insieme, con la forza della speranza e delle idee, fa riflettere. E fa tanto riflettere che non riusciamo nemmeno noi a capire dove si possa trovare una forza d'animo così grande.
Ma se riesce a dirlo lui, con le carni sanguinanti, dobbiamo farlo anche noi.
Parigi, casa mia.

(Claudia, Simone e Luca)


venerdì 13 novembre 2015

Cassazione: commette diffamazione l'amministratore che invia una lettera ai condomini in cui riporta frasi offensive pronunciate in assemblea Fonte: (www.StudioCataldi.it)

È punibile per diffamazione l'amministratore che trasmette a tutti i condomini una lettera offensiva in cui sono riportati epiteti denigratori verso altri comproprietari pronunciati da altre persone.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 44387/2015 (qui sotto allegata), dichiarando inammissibile il ricorso presentato da un amministratore di condominio condannato per il reato previsto dall'art. 595 c.p. 
L'imputato, aveva inviato, quale amministrare di condominio, una lettera a tutta i condomini rappresentando che nel corso di un'assemblea condominiale un geometra (rappresentante dell'INPDAP proprietario di circa un terzo degli immobili condominiali) si era espresso nei riguardi di due presenti sostenendo che i due "non capivano niente ed erano malfattori, gentaglia  e delinquenti". 

Uno degli offesi era presidente dell'assemblea condominiale nella quale erano volati gli ingiuriosi epiteti e aveva contestato in quella circostanza alcune voci del bilancio predisposte dal ricorrente, inducendo quest'ultimo a rassegnare successivamente le proprie dimissioni. 
Lamenta il ricorrente che le frasi ritenute offensive erano state riportate nella missiva con unica ed evidente finalità di adempiere al proprio dovere di amministratore, rendendo edotti i condomini sulle vicende relative all'assemblea condominiale e su quelle della vita condominiale in genere. 
Siccome diversi condomini avevano abbandonato l'assemblea in massa per protesta, era necessario informarli sugli eventi accaduti incidenti sui loro diritti patrimoniali. 

Ma le censure sollevate dall'uomo sono inammissibili per la Cassazione. 
Appare evidente che la missiva fosse stata inserita nelle buche delle lettere dei vari condomini, nonostante il ricorrente avesse prima sostenuto di averla inviata ai soli offesi; è il tenore delle sue stesse doglianze che contraddice il presunto invio ai soli due offesi. 
Infatti, reclamando la causa di giustificazione ex art. 51 c.p. (Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere), l'imputato sostiene che i condomini "dovevano sapere" come erano andate le cose in occasione della precedente assemblea ed era suo diritto-dovere informali, e in tal modo conferma che lo scritto era destinato ad essere divulgato
Lo stesso tenore della lettera, come rilevato dai giudici di merito, contentava una serie di comunicazioni di interesse del condominio tutto e non dei singoli. 

Ciononostante, la libertà di riferire i fatti, e anzi il dovere quale amministratore di informare i condomini, doveva accordarsi con l'interesse della persona offesa a che non venisse amplificata l'espressione ingiuriosa asseritamene pronunciata da un terzo ai suoi danni
La comunità dei condomini non avrebbe avuto alcun interesse nel venire a conoscenza delle presunte offese pronunciate, mentre invece avrebbe fatto comodo al ricorrente utilizzare tale canale di trasmissione per diffondere le informazioni offensive della reputazione dei due condomini (che, si ricordano, avevano contestato il suo operato portandolo alle dimissioni). 

Il ricorrente, argomentava che, una volta informato sulle pressioni per far sì che venisse nominato un nuovo amministratore egli aveva agito nello stato d'ira provocato da un fatto ingiusto ascrivile alle presunte persone offese. 
È evidente che la lettera venne preparata e divulgata per ottenere il massimo effetto di diffusione e conoscenza al'interno della realta del grande complesso condominiale, circostanza indicativa di una valutazione di gravità non minima del fatto che non consente di ricorrere all'art. 131-bis c.p.  


(www.StudioCataldi.it) 

lunedì 9 novembre 2015

Cassazione: paga le spese alla facciata anche il condomino che non utilizza i balconi comuni I contributi per la manutenzione del bene condominiale vanno divisi pro quota a differenza delle spese d'uso Fonte: www.StudioCataldi.it

Il condomino è tenuto a pagare le spese relative ai lavori effettuati sulla facciata dell'edificio nonostante l'intervento coinvolga balconi condominiali sui quali egli non trae alcuna utilità.


Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nella sentenza n. 21028/2015 originata dal ricorso di un uomo contro la delibera condominiale che provvedeva a ripartire tra i condomini le spese per i lavori di manutenzione effettuati sulla facciata dello stabile.
Il ricorrente deduce la violazione dell'art. 1123, comma 3, c.c., ritenendo che i giudici di merito avrebbero dovuto valorizzare il rapporto di pertinenza e di destinazione che lega soltanto alcuni dei condomini ai balconi interessati dalle operazioni di manutenzione, in virtù dell'esclusiva utilità che questi ne traggono, con consguente esclusione degli altri dalla partecipazione alle spese per detti beni.

Gli Ermellini ritengono, tuttavia, di condividere le conclusioni raggiunte dai giudici di merito, precisando che in tema di oneri condominiali va effettuata una distinzione tra spese occorrenti per la conservazione dell'immobile e spese funzionali al godimento dello stesso, avendo ciascuna di essere una diversa funzione ed esigenza.

contributi per la conservazione del bene condominiale, sono dovuti in ragione dell'appartenenza e si dividono in proporzione alle quote, indipendente dal vantaggio soggettivo connesso alla destinazione della parte comune alle esigenze di singoli piani o porzioni di essi, in quanto necessarie a custodire e preservare il bene comunque in modo che perduri nel tempo senza deteriorarsi.
Le spese d'uso, invece, vanno ripartite in proporzione tra i condomini poiché originano dal godimento soggettivo e personale riguardando l'utilità che la cosa comune offre in concreto.

Nel caso di specie i giudici di merito hanno correttamente identificato l'esatta natura dei costi di manutenzione qualificandoli come spese di conservazione, la cui ripartizione prescinde dall'effettivo utilizzo.
Nessuna carenza di motivazione può riscontrarsi nella sentenza impugnata, pertanto il ricorso va rigettato e il ricorrente è tenuto a pagare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (ex art. 13 D.P.R. n. 115/2002).

Fonte: Cassazione: paga le spese alla facciata anche il condomino che non utilizza i balconi comuni 
(www.StudioCataldi.it) 

martedì 3 novembre 2015

Condominio: la lavatrice è rumorosa e disturba ogni giorno? Nessun risarcimento per i vicini Fonte: www.StudioCataldi.it

In condominio si sa si litiga veramente per tutto: per i bambini che giocano rumorosamente, per i latrati dei cani, per il volume alto della tv, per il ticchettio dei tacchi e non ultimo per la lavatrice! Ebbene sì perché per chi non ha abbracciato le innovazioni tecnologiche degli elettrodomestici ultra “silenziosi”, lavare i panni sporchi in casa propria, significa spesso condividerli con i vicini, con centrifughe che sembrano veri e propri reattori nucleari azionate a tutte le ore del giorno e della notte.

Ma per la Cassazione, anche se il rumore causato dalla lavatrice del vicino supera il limite dei tre decibel consentiti, laddove lo stesso non si protragga troppo a lungo e in orari che non sono destinati al riposo, i vicini disturbati non hanno diritto ad alcun risarcimento.

Seguendo questo ragionamento, il Palazzaccio, con la sentenza n. 22105/2015,, depositata ieri (qui sotto allegata), ha dato così torto a un condomino che chiedeva conto al vicino abitante al piano di sopra delle “molestie” della sua lavatrice, domandando la condanna al risarcimento dei danni morali e biologici subiti (da lui e dai familiari) per via dei forti rumori provenienti dall’elettrodomestico collocato in una stanza al piano superiore, esattamente in corrispondenza della sua camera da letto.

Per gli Ermellini “il limite di tollerabilità delle immissioni, a norma dell'articolo 844 c.c., non ha carattere assoluto, ma relativo, nel senso che deve essere fissato con riguardo al caso concreto, tenendo conto delle condizioni naturali e sociali dei luoghi e delle abitudini della popolazione”. Tale apprezzamento – hanno ribadito – è demandato al giudice di merito e sottratto al sindacato di legittimità, se correttamente motivato e immune da vizi logici. Per cui il giudice, nello stabilire la tollerabilità o meno delle emissioni può basarsi sui parametri dei decibel che costituiscono “criteri minimali di partenza” ma non ne è necessariamente vincolato,potendo anche discostarsene, “pervenendo al giudizio di intollerabilità, ex art. 844 c.c., delle emissioni, ancorché contenute in quei limiti, sulla scorta di un prudente apprezzamento che consideri la particolarità della situazione concreta e dei criteri fissati dalla norma civilistica (posta preminentemente a tutela di situazioni soggettive privatistiche, segnatamente della proprietà)”.

E nel caso di specie, il giudice di merito ha accertato che la lavatrice incriminata quando era a pieno carico e nella fase di centrifuga superava certo i 3 decibel, ma il vicino disturbato non aveva né provato l’utilizzo particolarmente intenso della stessa né che i lavaggi avvenissero di notte o nel primo pomeriggio, essendo emerso invece che il rumore si protraeva soltanto per 5-10 minuti al giorno e in orari non destinati al riposo.

Pertanto, aderendo alla tesi della corte territoriale, piazza Cavour ha confermato che il rumore non poteva essere ritenuto “obiettivamente intollerabile” e ha rigettato il ricorso. 




Fonte: Condominio: la lavatrice è rumorosa e disturba ogni giorno? Nessun risarcimento per i vicini
(www.StudioCataldi.it)